Jackie è il quarto dei testi del progetto sui miti femminili dell’autrice austriaca – Premio Nobel per la Letteratura 2014 – Elfriede Jelinek, messo in scena da Alan Alpenfelt con la volontà di esplorare i misteri della dialettica tra oppressore e oppresso.

Jacqueline – Jackie – Lee Bouvier Kennedy Onassis è la First Lady americana più famosa della storia, icona di una società che rispecchia un mondo televisivo, un mondo in cui l’immagine vale più della realtà. Jackie è il prototipo di una nuova donna, della moglie, della madre e della vedova perfetta, prigioniera del suo elegante completo Chanel macchiato di sangue e materia cerebrale. Jackie sembra non poter più uscire dal suo personaggio, diventando lo specchio di qualcosa che ci appartiene. Noi stessi siamo Jackie. Noi, con la faccia imbellettata e l’abito della festa, con il nostro peso forma e le foto di famiglia. Noi che non conosciamo chi sia davvero Jackie come forse non conosciamo noi stessi. Ed è così che Jackie ci instilla il dubbio che dietro all’immagine e all’iconicità pop ci sia una cruda verità e che la vera esistenza sia altrove.

 

di
Elfriede Jelinek

da
La morte e la fanciulla I-V. Drammi di principesse (ed. La nave di Teseo)

traduzione
Luigi Reitani

regia
Alan Alpenfelt

dramaturg
Francesca Garolla

con (in ordine alfabetico)
Caterina Filograno, Francesca Mazza, Anahì Traversi, Carlotta Viscovo 

e con la cortese partecipazione
del 35 esimo Presidente degli Stati Uniti d’America John “Jack” Fitzgerald Kennedy Fabrizio Rocchi 

musiche originali eseguite dal vivo da
Elena Kakaliagou, Ingrid Schmoliner

scene e costumi
Annelisa Zaccheria

video
Roberto Mucchiut

luci
Fiammetta Baldiserri

coreografia
Francesca Sproccati

wrestling coach
Luca Rusconi “Belthazar”

aiuto regia
Nello Provenzano

produzione
LAC Lugano Arte e Cultura

in coproduzione con
V XX ZWEETZ

con il sostegno di
Ernst Göhner Stiftung

sponsor di produzione e coproduzione
Clinica Luganese Moncucco

Alan Alpenfelt è regista e produttore indipendente per radio, teatro e musica. Nel 2008 co-fonda Radio Gwendalyn, prima web radio culturale indipendente in Ticino. Con RSI Rete Due produce il progetto audio-pittorico I Am Here Now – racconti dei giovani esuli dalle terre dell’Ex Jugoslavia e il radiodramma in due parti Il processo a Henry Wirz. Nel 2013 fonda la sua compagnia di progetti multidisciplinari V XX ZWEETZ con cui produce un adattamento visivo e sonoro del radiodramma Words and Music di Samuel Beckett, e la performance urbana Secret Sound Stories. È membro della Pulver und Asche Records e cura i programmi Over7, Mazyka e Introducing Labels su Radio Gwendalyn. Nel 2017 porta in scena Il processo per l’ombra dell’asino di F. Dürrenmatt, in coproduzione con LuganoInScena, e Operazione Vega, sempre di Dürrenmatt, nelle gallerie-grotte della Val di Muggio in Ticino. Nel 2018 inizia una residenza artistica sotto la guida di Carmelo Rifici al LAC e nella stagione 2018/2019 ha messo in scena Jackie di Elfriede Jelinek. A novembre 2019 ha esposto la sua mostra Binaural Views of Switzerland presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio, sostenuto da Pro Helvetia e la Fondazione svizzera per la radio e la cultura.

L'abito fa la fanciulla. La Jackie di Jelinek

“Per il flusso musicale di canto e controcanto che, con straordinaria passione linguistica, disvela in romanzi e drammi il carattere assurdo e asservente dei clichées sociali”. Quando, nell’ottobre del 2004, l’Accademia di Svezia annuncia con queste parole l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura a Elfriede Jelinek, l’autrice austriaca sta per compiere cinquantotto anni e ha da tempo rinunciato alla scrittura di “drammi” nel senso proprio del termine. Al più tardi con Nuvole.Casa. (1988), infatti, “superfici testuali” sostituiscono del tutto il modello dialogico, la costruzione di un’azione, la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Estremizzando fino alla rottura le istanze epiche e politiche del teatro di Brecht (e in consonanza con la scrittura del di lui migliore ed eretico erede, Heiner Müller), Jelinek inaugura una testualità post-drammatica, che si offre in tutta la sua polivalenza e apertura al lavoro scenico e performativo – mantenendo al contempo intatto il potenziale critico insito nella sistematica decostruzione delle matrici discorsive, delle narrazioni collettive e delle mitografie di ieri e di oggi. Le dominanti tematiche della sua produzione fin dagli esordi – linguaggio, media e potere; genere e identità; commistione fra alto e triviale; tabù e violenza – si riversano in un repertorio teatrale tuttora continuamente arricchito e sempre sensibile alle urgenze del contemporaneo. Jackie, scritto e portato in scena per la prima volta nel 2002 e parte di un ciclo intitolato Pièces di principesse – La morte e la fanciulla I-V, non fa eccezione. Il blocco monologico straniato e straniante, lontano da ogni compiutezza (auto)biografica e montato con frammenti disparati, emana da un luogo e tempo assoluto per la voce di una (o forse più) Jacqueline Lee Bouvier, poi Kennedy, poi Onassis, poi perennemente fissata e cementificata nella sua icona di stile. La fanciulla e la morte si abbracciano senza via di scampo, strette nell’abito di tessuto e di parole che uccide la forma del soggetto e, fatalmente e definitivamente, lo conforma alla sua eternità stereotipata.

Marco Castellari, docente di Letteratura tedesca e Storia del teatro tedesco all'Università degli Studi di Milano.

Jackie è il quarto dei testi della serie Der Tod und das Mädchen I - IV della premio Nobel austriaca per la letteratura Elfriede Jelinek. Una raccolta che esplora il tema delle “principesse”: quella che lei considera essere una condizione di pre-stadio rispetto a una femminilità compiuta, una femminilità che ancora non ha avuto la possibilità di prendere una forma definita.

Anche alla luce di recenti vicende di cronaca, a partire dalle valanghe di accuse nei confronti del produttore cinematografico americano Weinstein, ho individuato nel femminile un interessante focus da indagare, per esplorare i misteri della dialettica tra oppressore e oppresso, un conflitto che mi tocca da vicino. Senza voler individuare né vittime designate né potenziali eroine, credo che l’oppressione si riveli forse con maggiore evidenza su personaggi femminili: libertà, desideri e possibilità di esprimersi limitati portano a conseguenze le cui ricadute possono avere effetti fisiologici, corporei, psichici e linguistici, anche a lungo termine.

Per questo ho voluto lavorare sul teatro di Elfriede Jelinek che indaga la relazione tra il potere e il linguaggio con cui esso si esprime e quello tra i generi, dove i personaggi sono ridotti a fantocci, simulacri estirpati da ogni psicologia, icone che contemplano le macerie del loro destino.

Così è Jackie, “modello campione della nostra generazione e di tutte le successive”, costretta a mettere i guantini bianchi per la felicità di tutti, simbolo di un sogno americano ancora ben presente nel nostro linguaggio e della sua visione del mondo che bombarda da una parte e sorride eroica dall’altra. Jackie, il prototipo della moglie e della vedova di una società occidentale perfetta, l’eroina di un mondo televisivo e consumistico che fabbrica icone per gli user, prigioniera del suo elegante completo Chanel macchiato di sangue e materia cerebrale, costretta a trascinarsi per sempre il peso delle sue relazioni sentimentali.