Evento passato

29 marzo 2022

Sala Teatro

20:30

30 marzo 2022

Sala Teatro

20:30
  • Mascherina obbligatoria
    (> 12 anni)
  • Tracciabilità garantita

Antonio Latella, una delle figure più significative del teatro italiano contemporaneo, dirige un cast straordinario con Sonia Bergamasco e Vinicio Marchioni nel capolavoro di Edward Albee, un testo realistico, potente e visionario, in cui le risate vertiginose divorano e fagocitano i protagonisti. 

Chi ha paura di Virginia Woolf? è l’opera più compiuta e nota dello scrittore e drammaturgo americano - il cui merito è di aver contribuito a introdurre negli Stati Uniti le nuove tendenze drammatiche europee della seconda metà del XX secolo, in particolare le concezioni del teatro dell’assurdo -, e racconta la storia di due coniugi di mezza età, Martha e George, che hanno invitato a casa Nick, giovane collega di lui, e la moglie Honey; mentre il tasso alcolico della serata sale sempre di più, Martha e George si abbandonano a un crescente gioco al massacro, fino a far fuggire i loro ospiti.

di
Edward Albee

traduzione
Monica Capuani

drammaturga
Linda Dalisi

regia
Antonio Latella

con
Sonia Bergamasco
Vinicio Marchioni
Ludovico Fededegni
Paola Giannini

scene
Annelisa Zaccheria

costumi
Graziella Pepe

musiche e suono
Franco Visioli

luci
Simone De Angelis

assistente al progetto artistico
Brunella Giolivo

assistente volontaria alla regia
Giulia Odetto      

produzione
Teatro Stabile dell'Umbria

con il contributo speciale della
Fondazione Brunello e Federica Cucinelli

Antonio Latella torna alla regia con il capolavoro di Edward Albee, avvalendosi di una nuova traduzione di Monica Capuani e un cast straordinario. Il celebre testo Chi ha paura di Virginia Woolf? racconta la storia di due coniugi di mezza età, Martha e George, che hanno invitato a casa Nick, giovane collega di lui, e la moglie Honey. Mentre il tasso alcolico della serata sale sempre più, Martha e George si abbandonano a un crescente gioco al massacro, fino a far fuggire i loro ospiti.

“Non posso non partire dal titolo per affrontare questo testo che ancora una volta mi riporta all’America e alla drammaturgia americana. Una canzoncina che la nostra protagonista dissemina per tutto il testo, che riprende la melodia per bambini, e non solo, Who’s Afraid of the big bad Wolf?” ovvero: “Chi ha paura del lupo cattivo?”. La paura del lupo, quel lupo che fin da piccoli è fuori dalla porta pronto a sbranarci, pronto a punirci nel momento in cui non stiamo nelle regole che la società ci impone Eppure, non posso credere che questa scelta, in un autore attento come Edward Albee, sia solo un vezzo intellettualistico, dal momento che per sostituire la parola “lupo” scomoda una delle figure intellettuali più importanti del novecento, Virginia Woolf. Perché lo fa? Non può essere casuale per uno come lui, che fu adottato da piccolo da una famiglia di teatranti che non poteva avere figli, una famiglia talmente fuori dalle righe che lui aveva sempre sperato che quelli non fossero i suoi veri genitori.  Infatti la scoperta della verità dell’adozione più che gettarlo in uno stato di depressione lo aiutò a crescere e a vivere meglio. 

Virginia Woolf è un’autrice che crea un nuovo modo di narrare, un nuovo linguaggio. Una vera visionaria, una combattente instancabile per l’emancipazione femminile. Una donna che insegnò alle donne ad uccidere le loro madri, come per gli uomini Edipo ci insegnò ad uccidere i nostri padri, o meglio un’idea di padre, come la Woolf uccise un’idea di madre, quella che vedeva nella donna “l’angelo del focolare”. Credo che tanto di tutto questo si trovi nel testo, la Woolf è presente nei due protagonisti che fanno da specchio alla giovane coppia scelta come sacrificio di questo violentissimo e disperato amore, questo: “jeu de massacre”. La Woolf è presente anche in una idea di narrazione 

che riguarda lo stesso Albee: “Ogni volta che entra la morte, bisogna inventare, mentire, ricostruire. La morte la puoi vincere solo con l’invenzione”. Ed è proprio quello che fa fare Albee ai suoi protagonisti, prende spunto da questa frase della Woolf e porta questa coppia, ormai morente, a inventare per ricrearsi, per restare in vita, a scegliere di inventare un figlio mai esistito, ed è spiazzante che lo faccia proprio lui che fu adottato. Bisogna scegliere di spiazzare la morte, di vincere la depressione, la paura, forse anche di anticiparla proprio come fece la grande Virginia Woolf.

Tutto accade in una notte, perché anche per Albee, come per la stessa Woolf, il tempo è circolare, non invecchia mai. Il tempo resta giovane. Nel tempo va cercata la sospensione, l’attimo, ed è per questo che la Woolf affermava che non si può scrivere a trama, bisogna scrivere a ritmo, l’attimo è nel ritmo, è una sospensione. Ed è strano che ancora un parallelismo mi porti a pensare ad una non casualità del titolo: anche Albee è ossessionato dal ritmo, che incide con una scelta maniacale della punteggiatura, forse oltre al linguaggio la sua vera ricerca. Le cronache raccontano che quando dirigeva gli attori pretendeva un rispetto totale della punteggiatura che aveva scelto, un rispetto della partitura, e quindi del ritmo. Tutto ciò mi porta ad una nuova avventura, un testo realistico, ma che diventa visionario per la potenza del linguaggio, per la maniacalità della punteggiatura e per la visionarietà, dovuta ai fumi dell’alcool e alle vertiginose risate che divorano e fagocitano i protagonisti di questo testo. Albee, nel rifuggire ogni sentimentalismo, applica una sua personale lente di ingrandimento al linguaggio che sente parlare intorno a sé, ne svela i meccanismi di ripetizione a volte surreali che portano ad uno svuotamento di significato, ma come spesso accade in questo testo, parallelamente mostra come il linguaggio sia un’arma efferata per attaccare e ridurre a brandelli l’involucro in cui ciascuno di noi nasconde la propria personalità e le proprie debolezze. Per fare tutto questo ho voluto circondarmi di un cast non ovvio, non scontato, un cast che possa spiazzare e aggiungere potenza a quella che spesso viene sintetizzata come una notturna storia di sesso ed alcool. Un cast che avesse già nei corpi degli attori un tradimento all’immaginario, un atto-attore contro il fattore molesto della civiltà, che Albee ha ben conosciuto, come ci sottolinea nella scelta del titolo. Chi ha paura di Virginia Woolf? Se c’è qualcuno alzi la mano. 
– Antonio Latella