Una coppia attende, nella sala della propria casa, l’arrivo di un Figlio che immediatamente si rivela essere un altro Ragazzo. Così come Padre e Madre, nel corso della serata, non restano i genitori ma cambiano funzione e ruolo, cercando di costruire un passato comune che non può esistere se non attraverso l’esplorazione di relazioni sempre più compromettenti.

Uno schermo, sul fondo, proietta il testo dello spettacolo che avanza indipendentemente da quanto accade in scena, commentando e sottolineando musiche ed effetti sonori, fino a coprire i silenzi che si creano quando gli stessi interpreti non riescono più ad assecondare il meccanismo. E al termine della notte la polizia irrompe in casa dopo aver ritrovato il cadavere di un giovane. Così l’unico modo per interrompere la tortura della rappresentazione è tornare indietro: tutto quello che segue è la ricostruzione della scomparsa del vero Figlio, del suo ritorno a casa, di tutto ciò che è successo prima.

di
Riccardo Favaro

progetto e regia
Alessandro Bandini, Riccardo Favaro

con lo sguardo esterno di
Carmelo Rifici

con (in ordine alfabetico)
Alessandro Bandini, Flavio Capuzzo Dolcetta, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti

con la collaborazione artistica di
Petra Valentini

disegno e realizzazione scene
Giorgio Morandi, Marta Solari

costumi
Marta Solari

disegno sonoro e composizione musiche P
ietro Bonomi, Elena Rivoltini

disegno luci
Pierfranco Sofia

produzione
LAC Lugano Arte e Cultura

in coproduzione con
Teatro i

partner tecnico
Lugano Center GuestHouse

partner di ricerca
Clinica Luganese Moncucco

Spettacolo vincitore del Premio Scenario 2019

 

Abbiamo letto per la prima volta il testo nell’estate del 2018. Il titolo era diverso, così come buona parte delle parole. Eppure, già allora, tra le battute riuscivamo a respirare un senso di profondo smarrimento: un’inquietudine che ci accomunava e ci costringeva a fare i conti con i nostri sguardi sui rapporti umani più elementari. Quella sera non abbiamo indagato oltre. C’era bisogno di tempo e di nuovi incontri per capire come unire le nostre esperienze. Così, mesi dopo, è nato il primo tentativo di dare corpo ad uno spettacolo la cui creazione ha attraversato due anni, cambiando volti e forme, ma cercando di preservare e proteggere sempre la stessa inquietudine. La drammaturgia imponeva un compito: affidarsi completamente alle parole, lasciare che il testo guidasse e si imponesse, abbandonandosi al dramma di dover abitare un incubo logico. Così, nel caos di un impianto testuale che si diverte a forzare l’azione scenica, la nostra necessità era di portare alla luce la crudeltà di quel linguaggio familiare che deve trasmettersi ad ogni costo, finanche prendendo vita propria. Il quadro dello spettacolo allora ci è parso più nitido: nell'estrema frammentazione delle relazioni, la disperazione di un padre nasce nell’avvertire il vuoto dopo di sé. Questo è quello che vive anche il Padre che abita la nostra scena: la sua è la crisi di chi non ha altro scopo se non lasciar-si in eredità, come assecondando una dialettica violenta e antica. E se il proprio Figlio crolla nella solitudine, nella desolazione di una realtà che non riesce più a riconoscere e a descrivere, quella stessa ineluttabile brutalità si manifesta in scena e guida il genitore verso un atto assurdo. Comparirà un nuovo figlio, una nuova promessa, una nuova speranza per emergere dal buio. In tutto questo paesaggio desolato, freddo e carico di orrore, come una scena del crimine, la Madre cerca di elaborare il lutto, di adattarsi alle parole che le vengono indicate: vive il dolore di chi non ha un proprio fine se non quello di cercare di far coesistere i fini altrui, trasformandosi in artefice, complice e succube della tragedia di famiglia. Ma è una tragedia anche di linguaggio, in cui il testo stesso, proiettato sul fondo, traghetta gli interpreti verso un destino inevitabile, così inevitabile da poter essere solo commentato, ridicolizzato o enfatizzato, come all’interno di una sit-com o di una soap opera. Alla fine ciò che si deve compiere è il sacrificio del Figlio, come in un testo sacro, ma con l’indifferenza di una vittima che non trova consolazione perché sceglie di non appartenere a quel mondo.

20.10.2020
Festival delle Colline Torinesi, Teatro Astra, Torino

Foto di scena