Il Direttore artistico del LAC Carmelo Rifici consiglia numerosi spettacoli adatti a Scuole medie superiori e Università.

Per la prima volta, ogni spettacolo è accompagnato da una serie di parole chiave che riassumono e spiegano il contenuto dello spettacolo e i temi generali.

Programma:

Amor fugge restando 
Ve e Sa 30.09-01.10, ore 19:00
LAC, Teatrostudio 
durata spettacolo in allestimento 
Prima assoluta 

  • amore
  • relazioni interpersonali
  • potere
  • crescita

un progetto di Anahì Traversi
con Anahì Traversi, Simon Waldvogel
dramaturg Francesca Garolla
assistente alla regia Camilla Parini
produzione Collettivo Treppenwitz
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Südpol Luzern, FIT Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea 
con il sostegno di DECS Repubblica e Cantone Ticino – Fondo Swisslos, Pro
Helvetia – Fondazione svizzera per la cultura, Città di Lugano, Fondazione Claudia Lombardi per il Teatro
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco 
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
presentato nell’ambito del FIT Festival 2022 

Collettivo Treppenwitz, una delle realtà più innovative e promettenti della scena teatrale indipendente ticinese, porta in scena il terzo capitolo della propria ricerca sull’amore inteso come motore delle/ nelle relazioni umane, dopo L’amore ist nicht une chose for everybody di Simon Waldvogel e KISS! (Loving Kills) di Camilla Parini.

Fin da bambina, Anahì ha sempre giocato con lo specchio cercando nel proprio riflesso un altro da sé. Un esercizio che racconta un allenamento alla trasformazione del proprio io in un ipotetico incontro con l’altro, alla scoperta del desiderio e delle varie declinazioni dell’amore. Un esercizio che fanno tutti gli esseri umani. Per alcuni è una pratica consapevole e dichiarata, per altri solo immaginata in un gioco di analogie e suggestioni rubate a mitologie esistenti o inventate. Ma nella complessità di una relazione reale c’è una dinamica di potere in cui i ruoli sono impari anche se intercambiabili, non si tratta di una questione di genere, ma di un inevitabile rapporto di forza che si nutre della proiezione sull’altro di ciò che desideriamo.
Non è soprattutto l’altro da noi che può darci accesso all’esistenza?
L’altro, ma soprattutto l’amore che a lui ci lega, qualsiasi esso sia, ha un potere trasformativo tale da farci perdere i confini. E anche quando fugge, nella sua impetuosità lascia in noi una trasformazione.
Una trasformazione che nelle Metamorfosi di Ovidio diventa una nuova possibilità, un altro inizio, una fuga da una situazione che non permetterebbe alcuna evoluzione, un finale diverso da quello che ci aspetteremmo.

Paradiso XXXIII
15-16.10

Sa, ore 20:30
Do, ore 18:00

LAC, Sala Teatro 
Durata 1h 

  • poetica visiva e sonora
  • letteratura
  • linguaggio
  • ibridazione uomo-tecnologia

di e con Elio Germano, Teho Teardo
drammaturgia Elio Germano
drammaturgia sonora Teho Teardo
regia Simone Ferrari & Lulu Helbaek
con Laura Bisceglia (violoncello), Ambra Chiara Michelangeli (viola)
produzione Pierfrancesco Pisani per Infinito Produzioni
in coproduzione con Ravenna Festival, Fondazione Teatro della Toscana, Teatro Franco Parenti, Teatro Abbado di Ferrara, Teatro Galli di Rimini

Il pluripremiato attore e regista italiano di fama internazionale Elio Germano e il compositore, musicista e sound designer Teho Teardo sono voce e musica per narrare la bellezza e avvicinarsi al mistero, all’immenso, all’indicibile ricercato da Dante nei versi del XXXIII canto del Paradiso.   
Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, si trova nell’impaccio dell’essere umano che prova a raccontare l’irraccontabile. Questo scarto rispetto alla “somma meraviglia” è qui messo in scena creando un’esperienza unica, quasi fisica per lo spettatore al cospetto dell’immensità. 
Dal suono avvincente ed “etterno” della parola dantesca germoglia la musica inaudita e imprevedibile del compositore d’avanguardia e scaturisce la regia visionaria e impalpabile di Simone Ferrari e Lulu Helbaek, poeti dello sguardo, capaci di muoversi tra cerimonie olimpiche, teatro e show, portando sempre con loro una stilla di magia del Cirque du Soleil. Il risultato è qualcosa di magico e meraviglioso, di inspiegabile, che trascende qualsiasi concetto di teatro, concerto o rappresentazione dantesca attraverso una contaminazione di linguaggi tecnologici e teatrali.

Processo Galileo 
Lu-Me 07-09.11, ore 20:30
LAC, Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 
Prima assoluta

  • scienza
  • storia e attualità
  • società
  • umanesimo
  • ibridazione uomo-tecnologia

di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Carmelo Rifici, Andrea De Rosa
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano
e con (in ordine alfabetico) Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini 
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni 
progetto sonoro GUP Alcaro  
disegno luci Pasquale Mari 
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE - Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale 
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco 

Liberamente ispirato alla vita e all’opera di Galileo Galilei, il nuovo spettacolo portato in scena da Carmelo Rifici e Andrea De Rosa – attraverso una collaborazione artistica e produttiva unica nel panorama teatrale odierno – ruota intorno ai problemi scientifici e ai grandi misteri del nostro tempo. 
Scritto da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, il lavoro è suddiviso in tre atti e vede come protagonisti i pluripremiati Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano, accanto ai giovani Catherine Bertoni de Laet e Isacco Venturini. 
La vita e l’opera di Galileo rappresentano uno spartiacque per la nostra cultura, una chiave di volta della modernità occidentale. Tanto il suo contributo scientifico quanto la sua abiura hanno dato vita ad un’onda lunga che è arrivata fino a noi: un big bang la cui espansione si mostra oggi nella sua forma più realizzata e problematica.
Il testo di Angela Dematté vede in scena una donna, madre ed intellettuale, chiamata a raccontare per una rivista divulgativa il nuovo paradigma che la scienza sta ponendo oggi. Il lutto famigliare che sta elaborando, però, provoca un cortocircuito con i dialoghi che persegue con uno scienziato e con sua madre, e la costringe ad intraprendere un viaggio più vasto, che mette in discussione la sua visione del mondo. 
Galileo è anche l’inizio di un processo storico: a partire da Galileo, infatti, il progredire dell’apparato tecnico-scientifico coincide con l’idea di progresso tout-court. Nel cannocchiale di Galileo, puntato non più verso il mare ma verso il cielo, la scienza si separa dalle discipline umanistiche e si fonde con la tecnica: da allora la potenza scientifica s’identifica con la forza dei suoi dispositivi, di cui oggi vediamo il pieno sviluppo nel sogno contemporaneo dell’intelligenza artificiale, della singolarità tecnologica, dell’automatizzazione universale. Intorno a questa ipotesi Fabrizio Sinisi sviluppa una parabola in versi sul tema di una generazione – e di una polis – che ha legato indissolubilmente il proprio destino a quello delle sue tecnologie. Galileo non è più un individuo ma una macchina, un dispositivo di trasformazione del mondo attraverso il quale l’uomo prova a fondare una nuova, diversa nozione del divino. 
A legare i due testi ci saranno le parole del processo a Galileo del 1633, con i suoi personaggi e il suo linguaggio. La parte seicentesca si porrà come il punto di partenza e di irradiazione fra i diversi temi in gioco: il rapporto tra la scienza e il potere, la tradizione, la coscienza. 
C’è dunque un passato storico, dove avviene l’abiura; un presente, dove una donna indaga, partendo dalla figura di Galileo, i drammi e le visioni della scienza contemporanea; e un futuro, dove, riprendendo la struttura del galileiano Dialogo sopra i massimi sistemi, si svolge un distopico simposio intorno a una tecnologia ormai elevata a nuova divinità. Tre sequenze che corrispondono ad altrettanti processi che – con diversi linguaggi e modalità espressive – indagano i destini e gli interrogativi del mondo contemporaneo e di quella che oggi chiamiamo “modernità”.

Gli sposi
Romanian tragedy 

Sa 12.11, ore 20:30
Teatro Foce
durata 1h15

  • potere
  • storia
  • totalitarismi

uno spettacolo di Frosini / Timpano
testo David Lescot
traduzione Attilio Scarpellini
regia e interpretazione Elvira Frosini, Daniele Timpano
voce off Valerio Malorni
produzione Gli Scarti, accademia degli artefatti, Kataklisma teatro
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 

Finalista ai Premi Ubu 2019 come miglior nuovo testo straniero, Gli sposi - Romanian tragedy del pluripremiato drammaturgo francese David Lescot è la storia di un’ordinaria coppia di potere, quella formata dal dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu e dalla moglie Elena Petrescu. 
Entrambi vengono dalla campagna e si ritrovano a militare nel Partito Comunista. Niente sembra distinguerli dai loro compagni, tranne il fatto che sono un po' meno dotati della media: creature senza smalto in un mondo senza orizzonte. Dittatori capricciosi e sanguinari, questi Macbeth e Lady Macbeth dei Balcani hanno seminato la paura nel popolo rumeno per poi finire sommariamente giustiziati davanti alle telecamere, sotto gli occhi del mondo, il 25 dicembre 1989. Una tragedia romena.
Uno spettacolo intelligente e ben calibrato in cui la scrittura di Lescot si lega perfettamente all’estetica di Elvira Frosini e Daniele Timpano, coppia di attori e autori che proprio sulla decostruzione di alcune mitologie della storia hanno fatto ruotare buona parte del loro repertorio. 

Nel mezzo dell’Inferno 
19-27.11
Sa-Do, ore 10:00-17:00
Lu-Ve, ore 17:00-22:00

spettacolo in VR – Realtà Virtuale con l’utilizzo di visori 
percorso per uno spettatore alla volta, entrata ogni 30 min.
LAC, Teatrostudio

  • ibridazione teatro-tecnologia
  • letteratura
  • linguaggio
  • esilio
  • introspezione

drammaturgia Roberta Ortolano, Fabrizio Pallara
regia Fabrizio Pallara
voci Valerio Malorni (Virgilio, Caronte, Minosse), Lorenzo Gioielli (Ulisse, Farinata degli Uberti, Conte Ugolino) e Silvia Gallerano (Beatrice e Francesca)
musiche Økapi
modellazione e animazione 3D Massimo Racozzi
progettazione ambienti architettonici Sara Ferazzoli
sviluppo applicazione e implementazione RVI Alessandro Passoni
una coproduzione LAC Lugano Arte e Cultura, CSS Teatro stabile di innovazione 
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco  
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 

Torna al LAC il progetto teatrale ed esperienziale in cui lo spettatore, grazie all’uso della tecnologia della Realtà Virtuale Immersiva, ha la possibilità di compiere – proprio come Dante – un viaggio nell’aldilà, a contatto con l’altro mondo (che è a un tempo quello dei morti e quello virtuale della realtà immersiva): una vera e propria esperienza introspettiva, all’interno del sé. 
Dante scrive l’Inferno mentre è immerso nell’esperienza straniante e dolorosa dell’esilio, lontano da casa e gravato dal peso dell’ingiustizia, ed è proprio questo passaggio nella scrittura e nella vita che gli permette di elevarsi, di conquistare un nuovo equilibrio con se stesso e con il mondo, una nuova dimensione della conoscenza. Il poeta inventa così la possibilità di creare un altro mondo, speculare e connesso a quello reale, nel quale l’io possa fare un’esperienza diretta di evoluzione e trasformazione: è così che prende avvio la letteratura moderna.
Allo stesso modo, la Realtà Virtuale Immersiva pone il pubblico a contatto con la possibilità di un altrove, di una dimensione fantastica che non sia però alternativa e dissociata da quella reale, ma a questa interconnessa, nella convinzione che il fantastico e il virtuale siano immersi nel reale molto più di quanto non si creda.

Calderón
Ma e Me 22-23.11, ore 20:30

LAC, Sala Teatro
Durata spettacolo in allestimento 
Prima nazionale

  • relazioni umane
  • linguaggio
  • letteratura
  • corpo
  • riflessione sul testo

di Pier Paolo Pasolini
regia, ideazione scene e costumi Fabio Condemi
con (in ordine alfabetico) Valentina Banci, Matilde Bernardi, Marco Cavalcoli, Michele Di Mauro, Carolina Ellero, Claudio Gaetani, Nico Guerzoni, Caterina Meschini, Elena Rivoltini, Giulia Salvarani, Emanuele Valenti 
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale 
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco 

Lo spettacolo è realizzato all'interno del Progetto internazionale “Prospero Extended Theatre”, grazie al supporto del programma “Europa Creativa” dell'Unione Europea.

Alla terza regia pasoliniana (dopo Bestia da stile e Questo è il tempo in cui attendo la grazia), il giovane regista Fabio Condemi - Premio Ubu 2021 alla regia - si confronta con la complessità di Calderón, un testo labirintico in cui coesistono molteplici piani e tracce in un continuo e ricchissimo gioco di incastri. 
Calderón è probabilmente il passo più complesso nel viaggio compiuto da Pier Paolo Pasolini nel mondo della scrittura per il teatro. Un testo stratificato in cui i piani narrativi incessantemente si mescolano, si espandono e tornano in connessione, arricchendo un turbolento universo immaginativo. La scrittura e l’immaginario di Calderón de la Barca incontrano quelli di Bertolt Brecht, fortemente influenzati dalla lettura delle intuizioni di Roland Barthes. Al contempo, la Spagna franchista degli anni Sessanta e la rivoluzione studentesca si fanno terreno fertile per un’interpretazione controversa della Storia recente e della sua eredità, mentre la pittura e la tecnica di Velasquez agisce come sovrastante riferimento visivo che guida l’allestimento. 
Nel prologo di Calderón, Pasolini getta una nuova luce sul concetto di rappresentazione e di relazione tra il teatro e i suoi spettatori, ponendosi in contrasto a “i competenti della nuova epoca che sta cominciando, […] che sono così informati sul presente e sulle possibilità del futuro, che ritengono decrepite le esperienze fatte lo scorso anno: e non parliamo poi del linguaggio che le esprime!”. I dialoghi platonici costituiscono una fonte drammaturgica, insieme alla psicanalisi freudiana e gli studi teologici in relazione al corpo, mentre il mondo onirico è osservato, al contempo, come prigione e come utopia.
Questo intricato labirinto semiotico, dove segni e significazioni coesistono, apre un esiguo passaggio che attraversa l’ingegnoso linguaggio del testo di Pasolini e la sua linea di pensiero. Gli spettatori sono chiamati a interrogare profondamente se stessi, a riflettere sul nostro essere nella storia, coi nostri corpi, con le nostre opere e coi nostri sogni.
Fabio Condemi è una delle figure più apprezzate nella nuova generazione di registi italiani; nel 2021 gli è stato assegnato il prestigioso Premio Ubu alla miglior regia per lo spettacolo La filosofia del boudoir del Marchese de Sade. 

Per il progetto digitale del LAC Lingua Madre. Capsule per il futuro ha firmato la regia di Analisi Logica di Riccardo Favaro, lavoro selezionato all’Incontro del Teatro Svizzero 2022. 

Feeling Science 
Un esperimento teatrale 

Gio 01.12, ore 20:30
LAC, Palco Sala Teatro 
Durata 1h20

  • scienza e teatro
  • linguaggio
  • femminile
  • tecnologia

regia Angela Dematté/Simona Gonella/ Andrea Chiodi 
da un desiderio di Sandra Coecke, Naouma Kourti
creazione collettiva e interpretazione Joanna Bartnicka, Alba Bernini, Isabella Cerutti, Sandra Coecke, Rosanna Di Gioia, Agnes Hegedus, Matina Halkia, Naouma Kourti, Nicole Ostlaender
con la partecipazione di Franca Maria De Monti
concetto di Angela Dematté, Simona Gonella
drammaturgia Angela Dematté
regia Simona Gonella, Andrea Chiodi
contributi scientifici alla drammaturgia Adriaan Eeckels, Caterina Benincasa
contributi teatrali-scientifici alla drammaturgia Matina Halkia
produzione JRC SciArt project 
in collaborazione con l’Associazione Lighea per la rassegna Parola di donna di Varese

Feeling Science è un esperimento teatrale scientifico realizzato da nove scienziate e un’attrice.  
In questo momento complesso della nostra storia europea, abbiamo toccato con mano la complessità del rapporto tra scienza e politica. Ora c’è la necessità di trovare un nuovo modo di gestire tutta la potenza conoscitiva che la scienza offre alla politica.
Cosa accade, allora, se linguaggio politico e scientifico si incontrano nel campo rituale del teatro attraverso dei corpi femminili che, per una volta, non siano capri espiatori - tutta la tradizione teatrale occidentale ci ha consegnato corpi femminili da sacrificare in nome di un nuovo ordine sociale, a partire da Antigone e Ifigenia - ma corpi pensanti, agenti, scrittori di un nuovo “logos”?
Partendo da queste sfumature e problemi, Feeling Science tenta di capire come metterli in gioco in un modo nuovo, facendo dialogare teatro e scienza, per permettere ad una nuova techne di palesarsi. 
Una techne che usi razionale e irrazionale, conscio e inconscio, linguaggio scientifico ed emotivo in una nuova, possibile, combinazione.

L’estinzione della razza umana
Ma 20.12, ore 20:30

Teatro Foce
durata 1h15

  • fantascienza
  • critica sociale
  • introspezione
  • crescita

testo e regia Emanuele Aldrovandi
con Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi
con la partecipazione vocale di Elio De Capitani
produzione Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, Associazione teatrale Autori vivi
in collaborazione con La Corte Ospitale - Centro di Residenza Emilia-Romagna 
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
in collaborazione con Centro Artistico MAT

Testo selezionato da Eurodram 2022

Scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi, giovane pluripremiato autore e regista emiliano, L’estinzione della razza umana è una sorta di esorcismo – catartico e liberatorio – che ci aiuta a metabolizzare il nostro presente con ironia, lucidità e un pizzico di grottesco surrealismo. 
In un mondo incastrato dentro ritmi frenetici e disumani, che sottraggono tempo al pensiero e all’introspezione, l’arrivo di un virus che trasforma le persone in tacchini blocca e distorce ogni cosa. Così, le due coppie protagoniste della storia, persone comuni, portatrici ognuna di una diversa posizione filosofica della vita, si ritrovano nell’androne di un palazzo assalite da domande, frustrazioni e paure.
Utilizzando un linguaggio tragicomico, con dialoghi affilati e serrati, Aldrovandi, già ospite al LAC con Isabel Green e Farfalle nonché autore dell’adattamento de La bottega del caffè (produzione LAC), racconta la storia di cinque esseri umani nel periodo di passaggio all’età adulta, scavando dentro di loro senza pietà per trovare l’ultima cosa a cui si aggrappano, quando tutto sembra franare sotto ai loro piedi. 

Hate Radio 
Ve e Sa 13-14.01, ore 20:30
LAC, Palco Sala Teatro 
durata 1h 50

  • critica sociale
  • genocidio
  • politica
  • storia
  • relazioni sociali

ideazione, testo e regia Milo Rau
drammaturgia e produzione Jens Dietrich
con (dal vivo) Afazali Dewaele, Sébastien Foucault, Diogène Ntarindwa, (in video) Estelle Marion, Nancy Nkusi
produzione IIPM – International Institute of Political Murder Berlin/Zurich
in coproduzione con Hauptstadtkulturfonds Berlin, Migros-Kulturprozent Schweiz, Pro
Helvetia – Schweizer Kulturstiftung, Kulturamt St. Gallen, Kunsthaus Bregenz, Ernst Göhner Stiftung, HAU Berlin, Schlachthaus Theater Bern, Beursschouwburg Bruxelles, migros museum für gegenwartskunst Zurich, Kaserne Bâle, Südpol Lucerne, Verbrecher Verlag Berlin, Kigali Genocide Memorial Centre
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 

Tra i lavori più conosciuti di Milo Rau, Hate Radio racconta la storia di RTLM/ Radio-Télévision Libre des Mille Collines, stazione radio ruandese che giocò un ruolo cruciale nel genocidio della minoranza Tutsi nel 1994, strage enorme che causò la morte di circa un milione di persone. 
Fu proprio la radio il più potente strumento di propaganda violenta. Gli operatori della stazione radiofonica prepararono il genocidio per mesi, integrando nella propria programmazione musica, sport, comunicati politici e vere e proprie istigazioni all’omicidio. 
Hate Radio si concentra sulla messa in scena di uno show della RTLM condotto da tre estremisti di etnia Hutu e dell’italo-belga Georges Ruggiu, ricostruendo filologicamente il contesto e portando in scena alcuni dei superstiti. 
Come funziona il processo di affermazione dell’ideologia razzista? Come è possibile che l’individuo perda completamente la sua umanità? Ricorrendo a documenti e testimonianze dirette, l’opera del pluripremiato regista svizzero cerca di dare una risposta a questi interrogativi lasciando che gli spettatori facciano esperienza diretta di quanto accaduto.

Il berretto a sonagli 
Ma e Me 24-25.01, ore 20:30
LAC, Sala Teatro
durata 1h55 più intervallo 

  • letteratura
  • critica sociale
  • relazioni sociali

di Luigi Pirandello
regia Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini
produzione Effimera, Diana OR.I.S

Figura tra le più rappresentative del teatro italiano degli ultimi quarant'anni, Gabriele Lavia porta in scena uno dei primi successi di Pirandello, oggi considerato un vero classico della teatrografia del Nobel siciliano.
Il berretto a sonagli è un testo amaro, comico e crudele, specchio di una società “malata di menzogna”. Gabriele Lavia, tra gli interpreti più appassionati ed efficaci dei testi pirandelliani, veste qui i panni dell’umile scrivano Ciampa, che ricorre alla follia per mantenere la facciata di rispettabilità del suo infelice matrimonio. È il primo dei grandi personaggi pirandelliani a prendersi un’amara rivincita sulle umiliazioni di un’intera vita.
Luigi Pirandello scrive questa commedia nel 1916, in siciliano, per l’attore Angelo Musco; nel 1918 termina la versione in italiano che verrà rappresentata cinque anni dopo dalla compagnia di Gastone Monaldi. “Non c’è dubbio – dichiara Lavia – che in siciliano questa “commedia nerissima” sia più viva e lancinante. Noi faremo una mescolanza tra la “prima” e la “seconda” versione di questo “specchio” di una umanità che fonda la sua convivenza “civile” sulla menzogna. Il berretto a sonagli è il primo esempio radicale di teatro italiano “espressionista” amarissimo, comicissimo e crudele, un espressionismo feroce che vuole rappresentare una società “malata di menzogna”. La verità non può trovare casa nella “società umana”. Solo un pazzo può dirla… Ma tanto, si sa “…è pazzo!”. Così la signora Beatrice Fiorica ha svelato la verità e ora “deve” civilmente, socialmente, essere pazza”.
Attraverso uno sguardo lucido e attualissimo, Il berretto a sonagli ci rivela le ipocrisie e le superficialità che troppo spesso regolano la nostra vita.  

Ulisse Artico 
Ma e Me 07-08.02, ore 20:30
LAC, Palco Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 
Prima nazionale 

  • letteratura classica
  • ambiente e sostenibilità
  • viaggio
  • attualità

di Lina Prosa
regia Carmelo Rifici
con Giovanni Crippa
produzione Teatro Biondo Palermo 
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura 
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco
sponsor rassegna contemporaneo Drytech  

Carmelo Rifici dirige Giovanni Crippa in uno spettacolo che racconta in chiave contemporanea le gesta di Ulisse, il cui mito rivive in un futuro apocalittico fatto di ghiacci che si sciolgono, di culture che si perdono e di parole che si ritrovano.

Ulisse Artico sposta la geografia dell’Odissea classica dal Mediterraneo al mare Artico. L’eroe contemporaneo riparte dalle terre polari, da una nuova Troia, da una nuova terra di macerie, sperimentando ancora una volta il naufragio, nel cui tormento, questa volta, non c’è una Itaca che l’aspetta. Lo scioglimento dei ghiacciai disegna un nuovo paesaggio continuamente in sottrazione, di derive inarrestabili, alla cui radice sta una moderna guerra invisibile. È la guerra strisciante che l’inquinamento e il surriscaldamento termico impongono al nostro mondo. 
Il passaggio delle macerie dallo stato solido a quello liquido rende la tragedia ancora più insopportabile di quella antica. Niente sopravvive, si perde il senso della continuità. Avanza il deserto della Storia. L’evocazione di figure mitiche, come Nausicaa e Calipso, non regge più perché anch’esse intossicate dalle emissioni di anidride carbonica. Al loro posto un nuovo sistema di sfruttamento delle risorse, un nuovo sistema di navigazione che inaugura una nuova scacchiera di ricchezze e di poteri, di turismo globale. Nuovi schiavi all’orizzonte dell’eroe polare. 
Rifugiato su un pezzo di ghiaccio, Ulisse naufraga nell’immenso arcipelago di isole bianche in costante assottigliamento. Vede sfilare l’orso-naufrago, la volpe artica-naufraga. Ultimo rudere ad esibire la deriva è la casa-naufraga. Qui dentro scopre il cadavere di una donna inuit, una cacciatrice che ha preferito il suicidio allo spettacolo estenuante e scandaloso della fine. In questa decomposizione della realtà avrà mai Ulisse la possibilità di produrre un ultimo gesto mitico?

Maria Stuarda 
Ma e Me 14-15.02, ore 20:30
LAC, Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento

  • storia
  • politica
  • femminile
  • potere
  • letteratura

di Friedrich Schiller
traduzione Carlo Sciaccaluga
regia Davide Livermore
con Laura Marinoni, Elisabetta Pozzi e Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Sax Nicosia
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, Centro Teatrale Bresciano

Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi sono le protagoniste del dramma schilleriano incentrato sullo scontro frontale tra due regine: la scozzese Maria Stuarda e sua cugina Elisabetta d’Inghilterra, la prima prigioniera della seconda. Le due straordinarie attrici si scambieranno i ruoli di sera in sera, svelando come in fondo i due opposti siano la stessa cosa. 
Nella tragedia scritta da Friedrich Schiller alla fine del 1700, la lotta per la corona si trasforma in un confronto appassionato, giocato su piani emotivi diversi: dall’invidia al martirio, dall’insulto alla preghiera. Una battaglia feroce che determinerà le sorti future non solo dell’Inghilterra ma dell’Europa e del mondo.
Partendo dal principio che nel teatro di Schiller la politica appare come fenomenologia del destino umano, il regista Davide Livermore si concentra sul rapporto tra femminilità e potere: “Nel trovarci di fronte queste due gigantesche figure, non possiamo non chiederci quanto e come la donna abbia dovuto interiorizzare certi meccanismi maschili della gestione del potere”. 
In scena, dopo un momento rituale iniziale, una sorta di prologo-vestizione, Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi - due interpreti d’eccezione, entrambe Premio Ubu e Premio Flaiano per il Teatro - scopriranno quale personaggio dovranno incarnare: un gioco di ruoli virtuosistico per svelare quanto questa cruenta dualità non sia altro che un riflesso dell’Uguale. Il contraltare di Maria diventa così Elisabetta che incarna tutte le modalità maschili per regnare e sopravvivere. 

Alla base del mio teatro c’è il rapporto con l’armonia al servizio della poesia di monteverdiana memoria. La parola parlata e la parola intonata saranno sostenute sempre da una ricerca sonora che parte dalla voce delle attrici stesse. - Davide Livermore

La dodicesima notte (o quello che volete) 
Ma e Me 28.02-01.03, ore 20:30
LAC, Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 
Prima assoluta 

  • letteratura
  • relazioni
  • amore

di William Shakespeare 
traduzione Federico Bellini 
regia Giovanni Ortoleva 
con cast in via di definizione 
produzione LAC Lugano Arte e Cultura 
in coproduzione con Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Centro D'arte Contemporanea Teatro Carcano
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco 

Il giovane fiorentino Giovanni Ortoleva, menzione speciale nel concorso “Registi Under 30” della Biennale di Venezia 2018, firma la regia de La dodicesima notte, considerata da molti critici la migliore commedia di Shakespeare. 
Sulle coste dell’Illiria l’amore si propaga in modo inarrestabile. Il duca Orsino è innamorato di Olivia, ricca contessa che si nega alla sua vista per onorare il ricordo del fratello scomparso. Quando nel paese arriva Viola, una giovane reduce da un naufragio che prende servizio dal duca travestendosi da uomo, la ragazza si innamora perdutamente di Orsino e fa innamorare di sé la contessa Olivia, creando un triangolo irrisolvibile. “Tempo, sei tu che devi sciogliere questo groviglio”, si dispera Viola quando si rende conto della situazione; e mentre i cortigiani si sfogano con scherzi atroci alle spese del cameriere Malvolio, il tempo studia una soluzione.
Con La dodicesima notte, scritta subito dopo l’Amleto, il bardo chiude il capitolo delle commedie “pure” prima di avventurarsi nelle “dark comedies” (in cui a prevalere saranno il tono cupo e il tema della morte), e in essa fa confluire le sue tematiche preferite e ritornare alcuni dei suoi personaggi, come in una festa d’addio. Un testo ambiguo e affascinante, surreale e terreno, profondamente malinconico e irresistibilmente divertente; un’opale, piccolo oggetto che contiene mondi, nell’osservazione del quale ci si può felicemente perdere.

Every Brilliant Thing
(Le cose per cui vale la pena vivere)
Me 08.03, ore 20:30

Teatro Foce
durata 1h10

  • letteratura
  • salute mentale
  • filosofia

di Duncan Macmillan
traduzione Michele Panella
regia Fabrizio Arcuri
co-regia e interpretazione Filippo Nigro
oggetti di scena Elisabetta Ferrandino
coproduzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Sardegna Teatro
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
in collaborazione con Centro Artistico MAT

Fabrizio Arcuri co-dirige uno dei più interessanti attori del cinema italiano e di serie TV di successo, Filippo Nigro, in una versione italiana di Every Brilliant Thing, testo dello scrittore britannico Duncan Macmillan che, con sensibilità e una non superficiale leggerezza, tratta un tema delicato e complesso come la depressione.
Dopo una lunga attesa all’uscita di scuola, il Narratore, un bambino che va alla scuola elementare, si ritrova in macchina con il padre. Il viaggio è segnato da un lungo silenzio che termina all’ospedale, dove la madre è ricoverata dopo il suo primo, fallimentare, tentativo di suicidio. Appena vede il protagonista fuori dalla sua stanza di ospedale, la madre, con un filo di voce, riesce a dire solo un “Lui no!”. Da questo momento, il Narratore deve trovare il modo di reagire. Il senso di colpa comincia a farsi strada nella sua psiche. Deve trovare un modo per superare questo profondo turbamento e, sempre all’ospedale, lo trova: scrivere una lista di tutte le cose per cui vale la pena vivere. Le prime dieci le scrive di getto, proprio lì, nella sala d’attesa; le successive sono frutto dell’ingenuità e dell’ottimismo che segnano la sua infanzia.
Dieci anni dopo, il secondo tentativo di suicidio della madre, sempre fallimentare; il protagonista è in piena adolescenza e la prende molto meno bene. 
La lista delle cose per cui vale la pena vivere impone delle regole e, via via con il tempo, l’elenco si allunga, seguendo di pari passo la sua vita e la costruzione della sua identità: il rapporto con il padre, con il primo amore, il fallimento del suo matrimonio, la ricerca di aiuto nei momenti di difficoltà. 
Infine riesce a convincersi che la lista non avrà aiutato la madre ma ha aiutato se stesso, e si convince del fatto che “…se vivi tanto a lungo e arrivi alla fine dei tuoi giorni senza esserti mai sentito totalmente schiacciato, almeno una volta, dalla depressione, beh, allora vuol dire che non sei stato molto attento!”.

Dodici metri di apertura alare 
Ve e Sa 24-25.03, ore 20:30
Teatro Foce
durata spettacolo in allestimento 
Prima assoluta 

  • filosofia
  • tempo
  • vita-morte
  • introspezione

di e regia Tommaso Giacopini 
mentore di regia Alan Alpenfelt
con Alice Redini e cast in via di definizione
produzione Compagnia Tommaso Giacopini 
con il sostegno di Percento culturale di Migros Ticino, Città di Lugano
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
in collaborazione con la Rassegna Home 

Il giovane drammaturgo, poeta e artista teatrale-musicale Tommaso Giacopini, qui alla sua prima prova registica, riflette i violenti moti del macro-mondo delle ere geologiche nel micro-mondo di una giovane donna e del suo compagno, Sofia e Leonardo. 
Le cose sono come sono fino a quando non cambiano. Ci fu un tempo in cui i dinosauri dominavano il nostro pianeta. Poi un sasso dal cielo. Bum. 
Dodici metri di apertura alare è uno spettacolo sulla caducità dell’esistenza, su quanto ogni cosa debba distruggersi per potersi rinnovare. 
Sofia, la protagonista della pièce, si ritrova sospesa tra la morte della madre e il trovarsi lei stessa incinta. Sospesa dunque tra la morte e la vita, cercherà come può di difendersi, con i denti e con le unghie, dai mostri nascosti nell'ombra, alla ricerca di un modo un po' meno doloroso di vivere.
La scrittura di Dodici metri di apertura alare nasce dal percorso di formazione nell’ambito della scrittura teatrale promosso da Luminanza – Reattore per la drammaturgia contemporanea della Svizzera Italiana, intrapreso da Giacopini nel 2021.

Ceneri alle ceneri 
Ve e Sa 31.03-02.04, ore 20:30
Do, ore 18:00

Teatro Foce
durata 1h
Prima assoluta 

  • letteratura
  • introspezione
  • esistenzialismo

di Harold Pinter
regia Luca Spadaro 
con Sebastiano Bottari, Silvia Pietta 
produzione Teatro d’Emergenza 
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
in collaborazione con la Rassegna Home 

Alla terza regia pinteriana (dopo Il custode e Il calapranzi), Luca Spadaro si confronta con Ceneri alle ceneri, uno degli ultimi play del drammaturgo britannico, Premio Nobel per la letteratura nel 2005.
Rispetto ai testi precedenti, Ceneri alle ceneri si caratterizza per una forte immobilità: due personaggi, marito e moglie, una sera d’estate. Una casa in campagna, dalla finestra si vede un giardino. Il sole tramonta. Un drink in mano, una comoda poltrona. 
A quanto pare, nell’Universo di questa commedia, i ricordi contraddittori possono coesistere nella memoria di una persona ed essere tutti veri. Siamo noi, con i nostri hobby e i nostri amici, e siamo anche quello che è accaduto agli esseri umani prima di noi, quello che ci permette di essere qui, oggi, seduti su una poltrona, con un drink in mano e un giardino al di là della finestra. E in una sera d’estate può accadere che i nostri ricordi più profondi tornino a galla con la concretezza delle cose vere, dei fatti accaduti e rendano incredibili le solide pareti della nostra bella casa.

Riccardo III
Me e Gio 05-06.04, ore 20:30

LAC, Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 

  • letteratura
  • storia
  • potere
  • critica sociale
  • impegno politico

di William Shakespeare 
adattamento Ármin Szabó-Székely, Kriszta Székely 
traduzione Tamara Török
regia Kriszta Székely
con Paolo Pierobon, Matteo Alì, Lisa Lendaro, Nicola Lorusso, Elisabetta Mazzullo,
Nicola Pannelli, Marta Pizzigallo, Francesco Bolo Rossini, Jacopo Venturiero e cast in via di definizione
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano

La giovane e affermata regista ungherese Kriszta Székely si confronta con l’imponente figura letteraria del duca di Gloucester, senza dubbio uno dei cattivi più iconici e rappresentati del repertorio shakespeariano, qui interpretato dal due volte Premio Ubu Paolo Pierobon.  

Scritta tra il 1591 e 1592, Riccardo III è l’ultima di quattro opere teatrali nella tetralogia minore di William Shakespeare sulla storia inglese e conclude un racconto drammatico cominciato con Enrico VI. Da sempre, questo dramma storico affascina per la sua dimensione violenta, manipolatoria e solitaria, rappresentata dal suo protagonista, assassino deforme e infingardo: il duca di Gloucester.
Dopo il successo raccolto a Torino e a Budapest dal suo Zio Vanja, a partire dal 2021 Kriszta Székely è entrata a far parte del nucleo artistico del Teatro Stabile di Torino come artista associata. Nelle sue regie, sia di prosa che di opera, è sempre forte l’impegno politico e civile, così come l’attenta analisi dei ruoli, reali o presunti, che ci vengono attribuiti dalla società. 
Nelle sue mani, Riccardo III non potrà che diventare una critica ancora più feroce e aspra del desiderio di potere e autoaffermazione che caratterizza ogni totalitarismo.

Short Skin 
Ve 07.04, ore 20:30
Teatro Foce
durata spettacolo in allestimento

  • adolescenza
  • relazioni intergenerazionali
  • cambiamento
  • crescita

progetto e regia Massimiliano Cividati
con Camilla Pistorello, Marco Rizzo, Camilla Violante Sheller, Libero Stelluti, Matteo Vitanza
produzione Aia Taumastica 
sponsor rassegna contemporaneo Drytech 
in collaborazione con Centro Artistico MAT

Short Skin è un utopistico catalogo sull’energia incontrollabile e meravigliosa della giovinezza, sulla paura di dover rinunciare un giorno ad essa e sul terrore che tutto possa al contempo rimanere sempre così.
Nel 1977 la NASA inviò due sonde nello spazio - voyager 1 e voyager 2 - con lo scopo di spiegare la terra agli alieni. Un'équipe capitanata dall’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan selezionò 116 immagini, 90 minuti di musica, una raccolta di suoni e un saluto in 50 lingue che potessero in qualche maniera raccontarci a qualcuno così lontano e diverso da non poterci capire.
Da qui è partito Massimiliano Cividati per provare a raccontare gli adolescenti, immaginando che ai loro occhi gli adulti possano comparire tanto lontani da essere alieni. 
In scena una selezione pop e alta di segnali e segni che possano essere rappresentativi di quella fase tanto unica e preziosa della formazione dell'individuo. E, forse, non può esserci momento più propizio per tentare di definire i connotati degli adolescenti: oggi l’adolescente è infatti abbastanza fermo, gli piace essere osservato e studiato.
Corpi che cambiano, capelli che non vogliono essere addomesticati, appetiti insaziabili di ogni genere, attrazione, bisogni, identità, linguaggio, musica, spazi, rifiuti, rinunce, perdite, smarrimenti e… gli “altri”, coloro che pensano di dominare ancora questo pianeta.

Eutopia 
Sa-Gio 15-19.04.2023, ore 18:00 e 20:30

LAC, Teatrostudio
Dai 9 anni
Durata 1h30
18 spettatori alla volta

  • sostenibilità ambientale
  • teatro partecipativo
  • collaborazione

creazione Trickster-p
concetto e realizzazione Cristina Galbiati, Ilija Luginbühl
collaborazione artistica Simona Gonella, Yves Regenass
collaborazione al game design Pietro Polsinelli
spazio sonoro originale Zeno Gabaglio
assistenza e collaborazione alla costruzione Arianna Bianconi
grafica e consulenza all’allestimento Studio CCRZ
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Trickster-p
in coproduzione con Theater Chur, ROXY Birsfelden, Südpol Luzern, TAK Theater Liechtenstein, FOG Triennale Milano Performing Arts
residenza di creazione presso Le Grütli - Centre de production et de diffusion des Arts vivants (Genève)
con il sostegno di Pro Helvetia - Fondazione svizzera per la cultura, DECS Repubblica e Cantone Ticino - Fondo Swisslos, Città di Lugano, Municipio di Novazzano, Fachausschuss Tanz & Theater BS/BL, SWISSLOS/Kulturförderung Kanton Graubünden, Landis & Gyr Stiftung, GKB BEITRAGSFONDS, Stiftung Dr. Valentin Malamoud, Boner Stiftung für Kunst und Kultur, Bürgergemeinde Chur, Fondazione Winterhalter
sponsor rassegna contemporaneo Drytech
 

Dopo il debutto della scorsa stagione, torna il teatro partecipativo di Trickster-p che con Eutopia esplora un diverso paradigma di “fare insieme” attraverso un approccio ludico e multisensoriale. Come ri-costruire o de-costruire il nostro “fare”? Come vivere insieme dopo tutti questi mesi di isolamento? Come coesistere con la pluralità delle forme attorno alla ‘natura’ senza per questo negare il nostro “essere umani”? 
Coniugando performance, installazione e game design, Eutopia rimette in discussione vecchi modelli biologici, ecologici e antropologici per trasformare il teatro in un grande tavolo di azione attorno a cui spettatrici e spettatori sono invitati a un’esperienza partecipativa i cui esiti, sempre differenti, siano il risultato dei loro singoli apporti peculiari. 
L’azione collettiva, fondante quanto effimera, diventa così strumento per delineare mondi possibili, che mettano al centro narrazioni e visioni in cui l’umano e il non-umano s’intreccino per ricomporre una frastagliata geografia di paesaggi multispecie in continua trasformazione. 
Privilegiando quell’arte di raccontare storie in cui gli esseri umani non siano al centro, ma non svolgano neanche il ruolo di intrusi contro i quali la ‘natura’ dovrebbe essere protetta, Eutopia coinvolge i partecipanti, li interroga e li rende partecipi delle storie non umane che scaturiscono dalla loro azione.

Se ci fosse luce
22-23.04

Sa, ore 20:30
Do, ore 18:00

LAC, Palco Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 
Prima nazionale 

  • libero arbitrio
  • storia e contemporaneità
  • evoluzione

testo e regia Francesca Garolla
con Giovanni Crippa, Angela Dematté, Paolo Lorimer, Anahì Traversi
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in coproduzione con  Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, 
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco
sponsor rassegna contemporaneo Drytech  

Texte réalisé dans la cadre de résidence de la Cité Internationale des arts de Paris – Lauréat 2020, avec le soutien de K10-Kunzarchive - Lugano

Francesca Garolla, autrice attiva sulla scena italiana e francese, firma testo e regia di Se ci fosse luce, lavoro in cui indaga il tema del libero arbitrio e delle sue possibili conseguenze. 
La famosa telefonata, tra Valerio Morucci e Francesco Tritto, che annuncia la morte del deputato Aldo Moro diventa per l’autrice il punto di partenza e pre-testo, innesco per riflettere su una storia che sembra ancora condizionarci. 
Riflettere su una storia che pare essere riservata agli uomini, agita e scritta da loro, e dalla quale le donne sembrano essere escluse. Ma è davvero così? 
In scena non ci sono né Morucci né Tritto. Solo due uomini e due donne. 
Uomini che incarnano un passato che ha condizionato il presente e donne che vogliono indagare questo passato per costruire il loro futuro. 
Attraverso una struttura che segue, in maniera trasfigurata, le fasi di un processo, Garolla propone un nuovo modo di leggere la storia, di venire a patti con essa. 
Nella convinzione che sia necessario allontanarsene senza per forza dimenticare, condannare o perdonare, per poter dare finalmente buona sepoltura a tutti i morti, reali e metaforici, di quegli anni. 

Lazarus
Gio-Sa 18-20.05, ore 20:30
LAC, Sala Teatro 
durata spettacolo in allestimento 
Prima nazionale 

  • musica rock
  • fantascienza
  • isolamento
  • scienza

di David Bowie e Enda Walsh
ispirato a The Man Who Fell to Earth (L’uomo che cadde sulla Terra) di Walter Tevis
versione italiana Valter Malosti
regia Valter Malosti
con Manuel Agnelli 
e con cast in via di definizione
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, Teatro di Napoli - Teatro Nazionale, Teatro di Roma - Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura
un particolare ringraziamento a TPE - Teatro Piemonte Europa
in accordo con Robert Fox and Jones/Tintoretto Entertainment e New York Theatre Workshop
per gentile concessione di Lazarus Musical Limited
in accordo con Arcadia & Ricono Srl
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco 
sponsor di spettacolo Percento culturale di Migros Ticino 

Lazarus ha debuttato per la prima volta Off-Broadway al New York Theatre Workshop il 7 dicembre 2015

Diretto da Valter Malosti e interpretato da Manuel Agnelli, Lazarus è l’opera-rock che David Bowie scrisse con Enda Walsh e per cui adattò alcune delle sue canzoni più celebri, tra cui Life On Mars? e Heroes, e compose appositamente quattro pezzi inediti.  
Lazarus è uno degli ultimi lavori di David Bowie, un’opera-rock scritta nel 2015 in collaborazione con il pluripremiato drammaturgo irlandese Enda Walsh. Seguito ideale del romanzo di Walter Tevis L’uomo che cadde sulla Terra, questo spettacolo-testamento viene portato in scena da Valter Malosti e vede come protagonista Thomas Jerome Newton, il turbolento migrante interstellare costretto a rimanere sulla Terra, qui interpretato dal cantante e frontman degli Afterhours Manuel Agnelli. 

La prima rappresentazione di Lazarus ha avuto luogo il 7 dicembre 2015 al New York Theatre Workshop di Manhattan, e quella è anche stata l’ultima apparizione pubblica di David Bowie che sarebbe scomparso poco più di un mese dopo, il 10 gennaio 2016. Bowie, seppur piegato dalla malattia, con uno straordinario e commovente sforzo creativo ha voluto lasciarci questo strano oggetto di teatro musicale che si può considerare, insieme al magnifico album Blackstar, il suo testamento creativo. [...] Bowie, come sempre nelle sue creazioni e nei suoi alter ego, sta usando la persona di Newton mobilitandola come veicolo per una serie di temi costanti che troviamo nella sua musica: l’invecchiamento, il dolore, l’isolamento, la perdita dell’amore, l’orrore del mondo e la psicosi indotta dai media. Newton è allo stesso tempo Bowie e non è Bowie. Ma è proprio attraverso questo atto di distanziamento che ci è permessa l’intimità più profonda. – Dalle note di regia di Valter Malosti