martedì 21 ottobre

Sala Teatro
Da 27 a 39 CHF

mercoledì 22 ottobre

Sala Teatro
Da 27 a 39 CHF

Antonio Latella firma la regia di Riccardo III, dramma storico che chiude la tetralogia shakespeariana dedicata al regno di Enrico VI d’Inghilterra. In scena, Vinicio Marchioni e un brillante cast di dieci attori sono pronti ad ammaliare il pubblico grazie al potere performativo della parola che il Bardo ci consegna e lascia in eredità. 

In questa rilettura, Latella va oltre l’immagine del Riccardo “mostro”, deformato nel corpo e dunque nel cuore. Il male, oggi, non può più nascondersi dietro un gobbo o uno zoppo; risiede nella bellezza, non della disarmonia: è vita, è natura, è seduzione. È la parola a rivelarne la potenza, a incantare e a corrompere, come il serpente nell’Eden. E il giardino dell’Eden, in questa messinscena, è simbolo di bellezza assoluta e ingannevole, fatta di relazioni pericolose: un luogo da difendere, ma anche da cui si è già stati cacciati. 
La traduzione di Federico Bellini consente una partitura ritmica che gioca con i registri, sfiorando talvolta i toni di una commedia wildiana. A fianco della struttura originale, prende forma un nuovo personaggio, il Custode: enigmatico e doppio, apparentemente servo del male ma in realtà al servizio della bellezza del luogo, disposto a tutto pur di garantire la sopravvivenza del giardino dell’Eden. 
Grazie a un cast importante, capace di conferire a ogni personaggio una forte impronta artistica e guidato dalla centralità della parola, Riccardo III si trasforma in un rituale di seduzione e rovina, un gioco di potere che scardina le certezze e affonda nella bellezza ambigua del male. 

di
William Shakespeare 

traduzione
Federico Bellini  

adattamento
Antonio Latella, Federico Bellini 

regia
Antonio Latella 

con
Vinicio Marchioni, Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone, Andrea Sorrentino 

dramaturg
Linda Dalisi 

scene
Annelisa Zaccheria 

costumi
Simona D’Amico 

luci
Simone De Angelis 

musiche e suono
Franco Visioli 

regista assistente e movimenti
Alessio Maria Romano  

assistente volontario
Riccardo Rampazzo

produzione
Teatro Stabile dell’Umbria, LAC Lugano Arte e Cultura

Il male è. Non è una forma, non è uno zoppo. Non è un gobbo. Il male è vita. Il male è natura. Il male è divinità̀. Il nostro intento è quello di provare ad andare oltre l’esteriorità del male cercando di percepirne l’incanto. È chiaro che se il male stesso viene rappresentato attraverso un segno fisico il pubblico è portato ad accettarlo, vede la “mostruosità” e la giustifica. Anzi, prova empatia se non simpatia con e per il protagonista. Ma è ancora accettabile questo “alibi di deformità” nel ventunesimo secolo? Probabilmente il Bardo ne aveva bisogno per giustificare al pubblico, in qualche modo, tutte le malefatte del protagonista. Difatti utilizzò un corpo maschera, molto più vicino a un giullare di corte, al fool, la cui figura era spesso caricata di segni esteriori – come la gobba – che, nel tempo, hanno assunto significati ambivalenti: grotteschi ma anche propiziatori. Non è un caso che nella cultura popolare si corresse a toccare la gobba per buon auspicio. 
In alcuni Paesi, Riccardo III viene tolto dai cartelloni di programmazione teatrale perché potrebbe risultare offensivo per chi convive con una disabilità fisica; argomento delicato in questi tempi dove il politically correct, nel bene e nel male, rischia di diventare censura che muta l’originalità delle opere decontestualizzandole dal periodo storico a cui appartengono.
A noi interessa la forza della parola, la seduzione della parola, e, perché no, la scorrettezza della parola. Il serpente incantò Eva con le parole, o, in ogni caso, bisognerebbe pensare che il serpente fu abile in quanto riuscì a far staccare la mela dall’albero ad Eva ma fu Adamo a morderla. Quindi, chi dei due peccò? Il male che mi interessa è nella bellezza, non nella disarmonia. Il male è il giardino dell’Eden. Una bellezza accecante, una bellezza che pretende un ritorno al figurativo. Una bellezza opulenta e ingannatrice, fatta di relazioni pericolose, di giochi di seduzione continui. E, in questo, Riccardo III è il maggiore dei maestri. La sua battaglia non è per la corona, non è per l’ascesa al trono, ma è per la sottomissione del femminile, quando è proprio il femminile che gli darà scacco matto; difatti sarà la Regina madre a portare a termine una tremenda maledizione.  
La traduzione di Federico Bellini mi permette inizialmente di giocare con tempi e andamenti ritmici quasi da commedia, direi wildiana, in una pennellata che rimanda all’Inghilterra Vittoriana. Abbiamo cercato di creare un adattamento dove, pur nella rinuncia ad alcune parti del testo originale, abbiamo provato a rispettare l’interezza della vicenda e la sua trasversalità di significato. Ci siamo presi il lusso, studiando i personaggi del testo, di ampliarne uno già esistente, chiamandolo Custode, apparentemente un servitore del male e di Riccardo III, che, con l’andare della narrazione, si scoprirà essere in realtà al servizio della bellezza del luogo; un custode che vuole garantire la sopravvivenza del giardino dell’Eden e per questo è pronto a tutto, quel tutto che nel testo si sintetizza con la parola “AMEN”.  
Infine e non da ultima, la scelta degli attori: un cast importante, ponderato in modo maniacale, un cast che possa essere forte per talento e dare ad ogni personaggio letterario qualcosa di fortemente artistico, un cast che possa ammaliare gli spettatori mettendo al primo posto del loro lavoro il potere performativo della parola che il Bardo ci consegna e ci lascia in eredità. Sappiamo tutti che la parola può mettere a tacere ogni tipo di guerra, ma nonostante la storia ce lo ricordi continuamente, continuiamo a dimenticarlo e credo, con mio dolore, volutamente: forse perché siamo stati creati per essere stonatura all’interno della perfezione armonica della prima nota, il DO, o almeno così mi piace pensare.  
A tutti i miei collaboratori artistici ho chiesto di dare bellezza al male e non bruttezza, perché chi tradì il paradiso fu l’Angelo più bello.
– Antonio Lattella

Foto di scena

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