Appunti musicali di Markus Poschner
La traviata rientra fra le opere assolutamente più eseguite di tutti i tempi: un capolavoro ormai entrato nel mito, capace ancora oggi di farci percepire in modo intensissimo tutto il mondo di emozioni di Alexandre Dumas figlio e di Giuseppe Verdi. Basta ascoltare poche battute di questa musica geniale ed ecco che improvvisamente essa suscita una vibrazione particolare nello spirito: come se ci facesse ricordare qualcosa che esisteva da tempo e che adesso – eco impercettibile dell’inconscio – torna di nuovo in superficie.
Ma cos’ha da dirci ancora oggi questo mito? O, detto in altre parole: perché si dovrebbe mettere in scena oggi un’opera vecchia di quasi 170 anni? La risposta è chiara: il destino de La traviata è legato alle grandi domande dell’esistenza umana, al successo e al fallimento dell’amore, alla cruciale questione dell’Io.
Negli anni a metà dell’Ottocento la morale predominante era ovviamente diversa: la cortigiana Violetta non aveva né il diritto né la possibilità di una felice relazione amorosa, relativamente a quella che allora veniva comunemente intesa per “vita normale”. Una situazione senza via d’uscita, la sua, che diventa il tema dell’opera, una situazione accelerata in maniera estrema dalla malattia mortale di cui soffre. Improvvisamente, la protagonista si trova confrontata con un’inimmaginabile solitudine, che si aggiunge al suo isolamento a livello sociale. Per ognuno di noi, ricevere una simile diagnosi di morte nel modo in cui la riceve Violetta sarebbe la peggiore delle notizie immaginabili: una visita dal dottore e – in un attimo – tutto crolla. E proprio a questo momento della vita di Violetta noi siamo chiamati ad assistere: il momento in cui comincia per lei il grande viaggio interiore.
L’ispirazione di tutta la vicenda giunge d’altra parte dal mondo reale, dalla rapida parabola di vita della vera Violetta, una giovane di nome Alphonsine Plessis, che morì appena ventitreenne a Parigi nel 1847 e determinò le diverse varianti della storia, da La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio (che ebbe una relazione con lei) a La traviata di Verdi. L’eroina sa della sua morte imminente e di fronte a questa estrema tensione vive da subito un’esistenza a perdifiato. In fondo, la celebre massima del rock’n’roll: “Live fast, die young”. E Violetta vuole vivere! Il più velocemente e intensamente possibile. Così, fluttua in una specie di sogno e può provare emozioni che fino ad allora non aveva mai sperimentato. Del resto la questione del rapporto tra immaginazione e realtà, solitudine e realizzazione di sé si pone in modo incredibilmente urgente e attuale ancora oggi (anzi, forse a maggior ragione proprio oggi) se pensiamo a fenomeni come la realtà virtuale, i social media, gli avatar o i mondi digitali. Violetta, in ogni caso, rimane fino alla fine una donna consapevole di sé, che prende le proprie decisioni, controlla la propria vita e alla fine la conclude in modo autonomo.
Verdi non condanna i suoi personaggi, ma li tratta con la massima credibilità: è questo il suo merito più geniale, in maniera simile a quanto solo Mozart riuscì a fare. E non è soltanto Violetta a vivere la sua tragedia personale: anche Alfredo e il padre Giorgio Germont vivono conflitti tragici e insormontabili. Germont desidera semplicemente essere un buon padre per i propri figli, mentre Alfredo tenta in modo sempre più radicale di diventare adulto, per potersi finalmente emancipare da un padre così ingombrante. Germont, nell’ultimo atto, riconosce di aver distrutto l’amore di due persone e di avere perso in questo modo non solo Violetta ma anche il suo stesso figlio. Alla fine è lui il vero, grande perdente dell’opera.
Tutte situazioni, queste, che ci sono ancora oggi così familiari perché questi conflitti esistenziali rappresentano a ben vedere veri problemi “privati”. Giuseppe Verdi, improvvisamente, mostra i suoi personaggi nel proprio contesto sociale e non più, come in Rigoletto, sullo sfondo del conflitto fra diversi ceti (il nobile e il suo servitore). Senza questa idea centrale di Verdi, così radicale, non sarebbero state in seguito immaginabili opere come la Carmen di Georges Bizet (1875) e – più tardi, sul finire del XIX secolo – l’intero movimento del Verismo. Sono i sentimenti dei protagonisti il “combustibile” permanente della creazione musicale.
Per questo Verdi dovette anche sviluppare e cambiare radicalmente il suo linguaggio musicale: la partitura de La traviata è una novità senza precedenti, scritta con incredibile esattezza e precisione, con tutti i parametri ben formulati e definiti, comprese le indicazioni di tempo. Non c’è neppure quasi più spazio per la personalità e l’estro dei singoli cantanti. L’equilibrio tra i gruppi strumentali è calibrato in modo nuovo, la guida della “macchina” dell’orchestra avviene in modo sorprendentemente trasparente, secondo una gamma di colori estremi. Purtroppo questa novità estrema si può ascoltare oggi solo molto raramente a teatro, dato che nella routine della vita teatrale non sono quasi mai previste prove aggiuntive per quest’opera così famosa, che passa di rappresentazione in rappresentazione in una sorta di “modalità costante”. Questa è dunque la nostra massima aspirazione, questo il nostro compito: far sì che possano emergere in una luce completamente nuova tutta l’opera e soprattutto la partitura de La traviata, realizzando fin nei minimi dettagli le intenzioni originali del compositore.
Poiché un tale percorso musicale – comprendente un meticoloso lavoro di prove e delle esecuzioni senza compromessi – rappresenta da anni il “credo” dell’OSI, e in pari tempo dell’intero team di Carmelo Rifici, ci rallegriamo, stimato pubblico, di potervi portare con noi in un eccezionale e indimenticabile viaggio musicale nelle profondità dell’anima. Con grande orgoglio vi presentiamo dunque una genuina interpretazione “luganese” di uno dei più famosi capolavori della storia dell’opera lirica. Vi auguro tanta gioia nell’ascoltarlo!