Carmelo Rifici affronta la regia di una commedia facendo cadere la sua scelta su un esilarante vaudeville di Georges Feydeau, La pulce nell’orecchio, di cui cura adattamento e traduzione insieme a Tindaro Granata.
Una moglie, allarmata da un comportamento piuttosto freddo e distratto da parte del marito, sospetta che egli abbia un’amante. Per mettere alla prova la presunta infedeltà, gli spedisce tramite un’amica una appassionata e anonima lettera d’amore, in cui dà appuntamento all’uomo in un albergo a ore, dove la moglie stessa si recherà per vedere se il coniuge cadrà nella trappola. Ciò che accadrà in quell’albergo è un groviglio incredibile delle più folli e assurde situazioni: tutti fuggono e si inseguono gli uni con gli altri, tentando disperatamente di salvare le apparenze, in un vortice di azioni e contatti che si complicano sempre di più fino alla clamorosa risoluzione finale dei vari misteri.
“Negli anni recenti – scrive Rifici – il mio lavoro di indagine registica si è focalizzato sul tema del linguaggio e sulle sue ambiguità. La pulce nell’orecchio, in un certo qual modo, è una farsa sul linguaggio, o meglio una farsa di linguaggi. Come con le grandi commedie di Shakespeare, siamo di fronte alla rappresentazione dei rapporti umani costruiti sulla sagacia delle parole ma, a differenza del grande autore inglese, Feydeau impone allo spettacolo una macchina comica perfetta. Un orologio di rara precisione che porta i suoi personaggi e il loro modo di parlare oltre il ‘gioco’ linguistico fine a se stesso, di puro intrattenimento ed evasione, con lo scopo di estrapolarne il massimo potenziale teatrale e la massima ridicolaggine umana”.