Evento passato

07 ottobre 2023

Palco Sala Teatro

20:30

08 ottobre 2023

Palco Sala Teatro

19:00

Dopo un lungo periodo di lavoro in case di cura per anziani – nell'ambito del progetto Restez FIT! –, Rubidori Manshaft riannoda in questo lungo viaggio “sul campo” i suoi ricordi, legandosi alla sua ricerca artistica sul passaggio della memoria attraverso le narrazioni, sulla mancanza e sulla solitudine. 

Riparte da lì per interrogarsi sul corpo, sul suo significato politico. Sulla cura. Sul tempo. Sulla paura. Sul fare. Sulla perdita di sé, delle forze, del ruolo e, a volte, anche della memoria.
Alcune cose da mettere in ordine è la storia di una donna appena al di là della soglia dei sessant'anni, che inizia a porsi le domande sul percorso della vita, una eco di noi tutti.
Ci riconosciamo nelle sue parole, nei suoi pensieri che sono forse anche i nostri, veniamo spiazzati dalla sua sorprendente capacità di rimescolarli, usarli, appropriarsene, dimenticarsene, inventarseli in sostituzione di quello che nella mente è fallo. Pensieri che, al pari degli accadimenti reali, diventano coprotagonisti di questa storia sul vivere, su sogni e disillusioni, su ricordi e rimpianti.
In questo sublime ribaltamento del reale verremo portati con forza in un nuovo tempo che forse ci apparterrà. Un viaggio interiore e reale verso qualcosa, un montaggio di eventi – struggente, ironico, reale – nel gioco che la vita compie, nel tentativo di ridisegnare una dimensione umana forse, oggi, smarrita.

concetto e regia 
Rubidori Manshaft

drammaturgia 
Rubidori Manshaft/Angela Dematté

con 
Roberta Bosetti
Giacomo Toccaceli

assistente al progetto 
Katia Gandolfi

assistente alla regia 
Ugo Fiore

short film e montaggi video video 
Fabio Bilardo

video interno 
(La Residenza – Malnate) Fabio Cinicola

scene e costumi 
Roberta Dori Puddu

disegno luci 
Elena Vastano

progetto sonoro 
Federica Furlani

con 
contributo video di uno degli ospiti della casa di cura Centro Polis LIS

e con (in ordine alfabetico, assenti o presenti in video)
Maria Teresa Agustoni
Anna Augustoni
Edy Augustoni
Graziano Bianchi
Ebe Bonacina
Lucilla Mondelli Campana
Giovanni Campi
Silvana Casanova
Marita Cantoni
Silvana Castelletti
Lilli Graf
Annarosa Fontana
Germana Gadoni
Fernando Gadoni
Giuseppe Germano
Anna Ghidinelli
Valentino Di Gianantonio
Giancarlo Guerra
Jolanda Jankowska
Ombretta Laurenzano
Rina Lorenzi Cioldi
Alessandro Loss
Albertina Manfredi
Sandra Ossola Rabuffetti
Silvia Pedroncelli
Dolores Poretti
Natalina Quadri
Naida Riva
Attilio Rotta
Livia Rovelli Roccon
Fernanda Sala
Flavio Sala
Marysa Sala
Luisita Solcà
Paolao Solcà
Renato Olindo Soldini
Renata Tacchella
Emilia Vinciguerra
Angela Zonca
Angelo Zonca

collaboratori al progetto 
Cristina Widmer (specialista in attivazione Centro Polis LIS)
Donatella Botta Maffia (struttura Centro Polis LIS) Patrizia Nalbach
Hugo Arias (infermiere Centro Polis LIS)
Monica Antonello, Matteo Orefice e il team Animazione (Fondazione Parco San Rocco)
John Gaffuri (Direzione)
Antonella De Micheli (Direzione casa cura La Residenza)

produzione 
FIT Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea
Officina Orsi (Lugano)

con il sostegno 
UFC
Beisheim Stiftung
Fondation Philantropique Famille Sandoz
Paul Schiller Stiftung
Ernst Göhner Stiftung

coproduzioni internazionali 
Olinda/TeatroLaCucina (Milano)

collaborazioni 
Fondazione Parco San Rocco, (Morbio Inferiore)
Centro Polis LIS (Lugano Istituti Sociali)
Fondazione La Residenza (Malnate)
Zona K (Milano)
Teatro Giuditta Pasta (Saronno)

residenze 
Zona K (Milano)
Olinda/TeatroLaCucina (Milano)

Quando ho iniziato a ragionare intorno al concetto di vecchiaia, mi sono trovata ad affrontare un tema socialmente familiare ma lontano dal mio mondo personale.
E come quando ci si prepara ad affrontare un viaggio ho iniziato ad ‘attrezzarmi’.
Arriva un primo inciampo, la pandemia. Nel vuoto e nella cupezza di quel momento di mezzo, mi sono dedicata alla lettura, incontri con psichiatri, filosofi, neurologi, operatrici e operatori delle case anziani.

Tra le letture rivelatrici Rivolta e rassegnazione. Sull’invecchiare di Jean Améry. Ha rivelato in me il cinismo che rende “forti” nell’affrontare la paura e che si applica alle cose sconosciute. Améry riflette sul vissuto, sui segni che la vita lascia sul nostro corpo, registrando con la maggiore lucidità e fedeltà possibili i processi nei quali si trova invischiato chi invecchia.
Salvatore Settis è stato un altro compagno di viaggio. Col suo ragionare su Chronos, tempo della produttività ed efficienza, e Kairos, della riflessione sulla qualità del tempo, ovvero l’abilità di fare la cosa giusta al momento opportuno. Insieme a loro, Roland Barthes, Filottete, Giovanni Gurisatti, e altri.
Invecchiare (e ora aggiungo vivere) bene è il compito di ogni istante della vita, come diceva Schopenhauer, non nascondendo la terribile sensazione che “Nilo stia ormai arrivando al Cairo”.
Ci si aspetta di invecchiare, senza “inciampo”. Ma la natura può scegliere senza il nostro consenso.
Inizio a riflettere sulla finitezza umana in un’epoca dove in ogni modo si cerca di contrastare le regole biologiche, allontanare e rimuovere la fine, rimuovere la morte.
Nel confronto reale con le persone ospiti delle case anziani, mi si è invece ribaltato il concetto del “mondo fuori”, gestito da Chronos, e si è messo a fuoco il valore di Kairos, il momento giusto dove qualcosa di speciale accade.
Negli incontri è accaduto che la senilità perdesse il suo statuto meramente bio-cronologico e acquisisse un valore pratico-tipologico di saggezza e di accettazione delle regole, del limite, compreso quelle che la malattia impone. Un processo meno intellettuale, meno ‘ameriano’,e più in accordo con la natura potente ed assoluta che ha facoltà di piegare gli eventi, anche i più nefasti, e trasformarli in speranza, in valore.
Durante questi scambi ho avuta la necessità di fermare Kairos, attraverso l’Ars, il valore artistico del fare prendendo il calco delle mani di tutte le persone intervistate, come un certificato eterno di presenza. Mani, simbolo che troveremo anche nella scelta scenografica.

Il testo, scritto a quattro mani con Angela Dematté, non è autofiction ma necessità di entrare nella visione della paura, della perdita del controllo.
Anna (Roberta Bosetti in scena) è simbolo di quello che ci affrettiamo a togliere dalla vista, ogni segno dell’umana debolezza, della fine senza traccia del nostro passaggio sulla terra.
Un percorso che si sviluppa contemporaneamente su tre piani, la memoria (come ricordo), il presente (come riflessione) e il futuro (come paura).
Tempi che si intersecano e si sovrappongono a ritmo sincopato, analizzati o immaginati da una donna che fa, o vorrebbe fare, il punto della sua vita, delle scelte, delle gioie e dei rimpianti. Che diventano spazio delimitato in cui Anna si muove, ma anche scelta drammaturgica o, per meglio dire, rafforzativa del testo.

Lo spazio/scena è costruito sulla proiezione della costruzione degli accadimenti nella mente di Anna. Da un esterno che ci mostra il mondo reale di Anna (video iniziale), entriamo nello spazio teatrale che rappresenta la sua mente, che sa dividere lucidamente lo spazio della sua paura: spazio bianco per non permettere che nulla venga assorbito, spazio color tabacco ossia spazio della memoria: dove ci viene proposta la costruzione dei suoi ricordi attraverso gli oggetti, in una visione scenografico-drammaturgica.
Alcune cose da mettere in ordine per cercare di oltrepassare la paura di una possibile inaspettata malattia, attraverso il rituale, il gesto ripetuto, la preghiera. Come tutti i rituali, la ripetizione afferma delle certezze e dà forma alla speranza di Anna e all’accettazione degli eventi non controllabili.
Giacomo (Giacomo Toccaceli) diventa la figura elaborata dalla mente della protagonista, colui che l’aiuta ad orientarsi tra i fantasmi.
Capace, come dice Schopenhauer, di una “estetica dell’esistenza” (L’arte di invecchiare ovvero Senilia).

Rubidori Manshaft è un’artista che parte dalla raccolta. La stagione del raccolto è per lei emozionante e vitale. Il suo processo creativo inizia dall’accogliere oggetti, segni, parole, meraviglie che le persone possono inventare e creare. Si dice che l’arte sia un prodotto culturale.
Rubi, con la sua raccolta, ci fa sentire che sotto ogni gesto, espressione, artefatto dell’uomo c’è una pulsione vitale che va al di là della volontà umana stessa e si ricollega a qualcosa di più profondo: è una forza della natura.
Raccoglie per questo lavoro volti, storie, mani, paure, follie, vite che si possono perdere da un momento all’altro. Perché appartengono a persone anziane. L’artista è colei o colui che porta alla luce ciò che nella società è nascosto, rimosso. Cominciando a lavorare con lei mi sono accorta di quanto io stessi rimuovendo qualcosa che ci riguarda tutti e da vicino: l’esperienza della perdita.
La raccolta di Rubi credo nasca dal bisogno di riparare il dolore della perdita e continui per impedire che la paura di un nuovo dolore prenda il sopravvento. Analizza le numerosissime interviste.
Si prende il tempo per questo. Credo che la svolta di questo lavoro sia avvenuta in particolare con l’intervista fatta ad uno degli ospiti incontrati in casa di cura: “Una volta che ho avuto la diagnosi di Parkinson mi è un po’ crollato il mondo addosso”.
Queste e molte altre parole dette con la difficoltà della sua malattia sono state la luce che ha permesso di affrontare in questo lavoro teatrale la paura della perdita della nostra vita, del controllo di noi. La paura di dimenticare è la paura di non esistere più.
È così che Rubidori decide di mettere in scena non una donna anziana ma una donna alla soglia dei sessant’anni anni. E Roberta Bosetti diventa l’attrice perfetta per questo ruolo.
Il mio lavoro con Rubidori è stato quello di aiutarla ad aver coraggio di dar forma e di condividere in un rito teatrale ciò che ci accadrà, chissà in che forma e chissà quando. Perché tutte e tutti ci perderemo prima o poi, è la condizione della materia di cui siamo fatti. E non è detto che oltre la perdita ci sia qualcosa di brutto.

(Così firma i lavori artistici legati al teatro e alla performance) è l’alias di Roberta Dori Puddu, scenografa. Il suo percorso artistico la porta a lavorare nella zona di confine tra le arti, con esperienze in ambito figurativo, cinematografico e performativo. Si forma in Cinema e in Teatro con Mafai, Scaparro, Bolognini, Tosi. Come scenografa lavora per il Teatro alla Scala e altri teatri internazionali. Collabora a più riprese con l’architetto Renzo Mongiardino. Disegna e lavora, tra gli altri, con Lila De Nobili, Fabio Palamidese, Emilio Carcano, Chloé Obolensky, Irene Groudinsky, Claudie Gastine.
Esponente della poesia visiva, partecipa alla Biennale di Venezia 2005 con oggetti d’arte e installazioni concettuali. È autrice, con Officina Orsi (Svizzera), di 12parole_7pentimenti (2014) e del ciclo Sull’Umano sentire (2015/2016) declinato in diversi capitoli in diverse città in Svizzera e in Italia. Nel 2017 nasce Handle me with care

 

Nasce a Vercelli e si laurea all’Università di Torino in Storia del Teatro. Nel 1984 inizia a lavorare come attrice presso il Piccolo Teatro di Milano sotto la direzione di Giorgio Strehler. Dopo un lavoro al Festival delle Colline di Torino con l’IRAA Theatre si trasferisce a Melbourne nel 1996 dove, a partire dal 2000, insieme a Renato Cuocolo, presenta come autrice e protagonista Interior Sites Project che viaggia poi in ventisei nazioni di quattro continenti. La Cuocolo/Bosetti diventa la principale compagnia australiana d’innovazione.
Tra i numerosi premi, riceve l’Unesco Awards (USA), il Green Room Award, il MO Award, il Premio Cavour (Australia) e, nel 2015, il Premio Hystrio. Raggiunge per quattro volte la nomination al Green Room Award, il principale riconoscimento australiano, come miglior attrice. Insegna alla Scuola del Teatro Stabile di Torino e tiene corsi per il DAMS di Bologna e la scuola dell’ERT.

 

Drammaturga e attrice nata e cresciuta in Trentino, sceglie Milano come sua residenza d’artista. Dopo una laurea in Lettere e un diploma all’Accademia dei Filodrammatici, lavora come attrice finché inizia, nel 2009, la sua attività di autrice: scrive Avevo un bel pallone rosso e vince il Premio Riccione e il Premio Golden Graal. Il lavoro è messo in scena da Carmelo Rifici con il quale inizia una profonda ricerca che produce, tra gli altri, L’officina, Chi resta, Il compromesso, Ifigenia, liberata e Macbeth, le cose nascoste. Negli stessi anni lavora come dramaturg. Scrive, dirige e interpreta Mad in Europe che vince il Premio Scenario 2015 e il Premio Sonia Bonacina. Nel 2019 la Città di Trento le conferisce il Premio Aquila d’Oro per la cultura. I suoi testi sono pubblicati in Italia, Francia, Svizzera, Germania ed Egitto. Lavora con importanti teatri come LAC di Lugano, Piccolo Teatro di Milano, Théâtre de la Manufacture di Nancy e diversi Teatri Stabili italiani.