Luca Pascoletti, responsabile e libraio della libreria LAC Shop, consiglia e scrive di letteratura in relazione ad alcuni temi e autori protagonisti della stagione di arti performative 2025/26.
Luca Pascoletti, responsabile e libraio della libreria LAC Shop, consiglia e scrive di letteratura in relazione ad alcuni temi e autori protagonisti della stagione di arti performative 2025/26.
Lear e Riccardo III: due tiranni agli antipodi
Datemi un altro cavallo! Fasciatemi le ferite!
Gesù, misericordia!.. Piano, non è stato che un sogno.
O coscienza vigliacca, come mi tormenti!
Le luci ardono azzurre; è mezzanotte fonda.
Fredde stille di spavento coprono la mia carne tremante.
Di che cosa ho paura? Di me stesso? Non c’è nessun altro presente.
Riccardo ama Riccardo, cioè, io sono ben io.
C’è forse un assassino qui? No. Sì, lo sono io!
Fuggi, allora. Come, da me stesso? Ne avrei una buona ragione,
per non vendicarmi? Come, io di me stesso?
Ahimè, io amo me stesso. Perché? Per qualche bene
ch’io abbia fatto a me stesso?
O no, ahimè, se mai odio me stesso,
per le azioni odiose che ho commesso.
Sono uno scellerato... oppure mento, non lo sono!
Sciocco, parla bene di te stesso! Sciocco, non ti lusingare.
La mia coscienza ha mille lingue diverse,
ciascuna delle quali racconta una diversa storia
ed ogni storia mi condanna come scellerato:
spergiuro, spergiuro, al massimo grado;
assassino, feroce assassino, al grado più atroce;
tutte le diverse colpe, commesse tutte in ogni grado,
s’accalcano alla sbarra, gridando tutte: «Colpevole, colpevole!»
Finirò disperato. Non c’è creatura che m’ami,
e, se muoio, nessuna anima avrà pietà di me...
E perché dovrebbe, dato che io stesso
non trovo in me pietà alcuna verso me stesso?[1]
Ascoltando questo monologo di Riccardo III facciamo fatica a credere che la psicoanalisi sia nata più di tre secoli dopo: le moltitudini dentro ciascuno di noi, le voci della coscienza, del vizio; il senso di colpa che convive col meccanismo di autoassoluzione; tutti questi aspetti emergono nelle opere di Shakespeare che andremo a vedere nei prossimi giorni qui al LAC.
Due opere apparentemente molto diverse, Riccardo III e Re Lear. Da un lato abbiamo un dramma storico, quello che chiude le opere che portano in scena le vicende della Guerra delle Due Rose. Ma vediamo come ce ne parla René Girard:
Quando Shakespeare scrisse questa tragedia [Riccardo III], il re in questione era considerato uno scellerato. Shakespeare ripropone questa visione popolare, soprattutto all’inizio. Nella prima scena, Riccardo si presenta come una specie di mostro. Il suo corpo deformato riflette la bruttezza del suo animo, esibito con compiacenza. Abbiamo qui a che fare con uno stereotipo, quello del re cattivo, che appartiene all’istituzione monarchica quanto e non meno del suo contrario, a sua volta ritualizzato. Esso trae origine dal meccanismo dell’espulsione collettiva, debitamente riprodotto da Shakespeare nell’ultimo atto.
Se per un attimo tralasciamo l’inizio e la fine dell’opera per concentrarci sul dramma in sé, vediamo emergere una immagine diversa di Riccardo. Ci troviamo in un mondo di lotte politiche sanguinarie. Tutti i personaggi adulti della tragedia hanno commesso o sfruttato almeno un assassinio politico. […] Essendo l’ultimo anello di questa catena infernale, Riccardo uccide più persone, e con maggiore cinismo, dei suoi predecessori, ma non è sostanzialmente diverso da loro. Per dare una veste drammatica a tutta questa violenza reciproca, Shakespeare ricorre alla tecnica della maledizione. Ciascun personaggio passa il tempo a maledire tutti gli altri con tanta intensità e veemenza che l’effetto globale è tragico o quasi comico, a seconda dello stato d’animo dello spettatore. Tutte queste maledizioni si annullano vicendevolmente fino alla fine, quando convergono su Riccardo e provocano la sua sconfitta finale, che segna anche la restaurazione della pace.[2]
Dall’altro lato abbiamo uno dei più bei miti tragici creati di William Shakespeare, Re Lear: facciamocelo riassumere da W.H. Auden:
Il Re Lear si distingue da ogni altra tragedia per la presenza di una trama secondaria pienamente sviluppata – è il primo copione di Shakespeare ad avvalersene dal tempo dell’Enrico IV. Nell’Enrico IV Falstaff è l’antitesi del Principe Enrico. Analoga è la contrapposizione di Gloucester e Lear. Nella trama principale Lear commette un errore di valutazione cacciando la figlia buona; nella trama secondaria Gloucester commette un errore del tutto simile cacciando il figlio buono. Lear è direttamente responsabile, Gloucester lo è un po’ meno, perché crede a qualcun altro. Un padre diventa matto, l’altro cieco. Un padre incontra la figlia buona e la riconosce, l’altro incontra il figlio buono senza riconoscerlo. Due delle figlie si scagliano l’una contro l’altra e si distruggono a vicenda, il figlio buono uccide il cattivo. Lear scopre la figlia morta e muore di dolore, Gloucester scopre il figlio buono, che lo ha accudito, e a sua volta muore. Nella trama principale la passione sfrenata, buona o cattiva che sia, genera la catastrofe. In quella secondaria è la ragione, buona o cattiva che sia, a produrre effetti catastrofici. La violenza della trama secondaria è dunque concepita per compensare la sua relativa prosaicità. Lear è più tragico perché vuole soffrire, Gloucester è più patetico perché tenta di evitare la sofferenza[3].
E mentre Re Lear sprofonda nell’abisso della sua follia solitaria e senza appigli, Riccardo III precipita nel maelstrom della sequenza di delitti e abusi di cui si rende colpevole. Come ha scritto Roberto Sanesi,
Nel gioco perverso del potere […] lo spazio e il senso dell’azione sono un “vuoto” allucinante, sede appropriata per una figura come quella di Riccardo: personaggio umano spaventosamente comune, di professione buffone del potere […]. Riccardo recita il vuoto en travesti.[4]
Nonostante tutte le differenze di struttura, trama, personaggi, ambientazione storica, possiamo trovare un tema portante in comune tra queste due opere: in entrambe le opere la figura del re si allontana dal suo ideale e finisce per incarnare quella del tiranno.
Riccardo III e Macbeth sono criminali pronti a conquistare il potere uccidendo i sovrani legittimi che incontrano sul loro cammino. Shakespeare, tuttavia, era incuriosito anche da un problema più insidioso, rappresentato da coloro che all’inizio sono sovrani legittimi e che poi vengono spinti verso il comportamento tirannico dall’instabilità mentale ed emotiva. Gli orrori che infliggono ai sudditi e, fondamentalmente, a se stessi sono le conseguenze della degenerazione psicologica. Forse questi individui hanno amici e consiglieri premurosi, persone con un sano istinto di autoconservazione e con un interesse sincero per il loro Paese. Per costoro, però, è molto difficile contrastare la tirannia capace di indurre la follia, sia perché non se l’aspettano sia perché la lealtà e la fiducia a lungo termine hanno inculcato loro l’abitudine dell’obbedienza.
Nella Britannia del Re Lear, benché l’anziano re cominci ad agire con la cocciutaggine incontrollata di un bambino tirannico, in un primo momento nessuno osa profferire parola. Avendo deciso di ritirarsi […], il sovrano riunisce la corte e annuncia la sua «ferma intenzione», ossia la sua decisione irremovibile. […] L’idea è assurda, eppure nessuno protesta. […] Soltanto Kent osa dire espressamente ciò che è sotto gli occhi di tutti: «Lear è matto». Per la sua schiettezza, colui che ha detto la verità viene bandito per sempre dal regno, sotto pena di morte. Eppure gli altri continuano a tacere. [5]
La capacità di Shakespeare di rappresentare la deriva del tiranno e i meccanismi che vengono messi in moto alla sua ascesa e caduta in maniera universale rende la sua opera paradigmatica e – purtroppo – attuale. L’assenza di contraddittorio, l’idea fallace di onnipotenza, denunciata in un momento di lucidità dallo stesso Re Lear, l’inganno, la doppiezza, le fake news sono tutti strumenti che conosciamo troppo bene per cascarci. Eppure…
Il Riccardo III di Shakespeare fa una brillante analisi delle caratteristiche di personalità dell’aspirante tiranno già tratteggiate nella trilogia dell’Enrico VI: l’egocentrismo smisurato, le violazioni della legge, il piacere ricavato dall’infliggere dolore, il desiderio irrefrenabile di dominare. Il despota si contraddistingue per il narcisismo patologico e l’arroganza spropositata. Ha la grottesca convinzione che tutto gli sia dovuto e non dubita mai di poter fare qualunque cosa voglia. Ama dare ordini e guardare i suoi sottoposti che si affrettano a eseguirli. Pretende lealtà assoluta, ma è incapace di gratitudine. I sentimenti degli altri non significano niente per lui. Non ha alcun garbo naturale, alcuna solidarietà, alcuna correttezza.
Non è soltanto indifferente alla legge; la odia e prova piacere nel violarla. La odia perché lo intralcia e perché rappresenta una concezione del bene pubblico che egli disprezza. Il tiranno divide il mondo in vincitori e perdenti. I primi suscitano la sua stima nella misura in cui può usarli per i propri scopi; i secondi meritano solo il suo sdegno. Il bene pubblico è una cosa di cui soltanto i perdenti amano parlare. L’argomento preferito del despota è invece la vittoria.[6]
Tuttavia ci avverte Neil MacGregor:
Nessuno, dopo aver assistito a un dramma di Shakespeare, può andarsene pensando che una volta raggiunto il potere sommo la vita sia una cosa facile, poiché i regnanti sono sempre a rischio. Nella nostra epoca democratica possono essere scalzati dalle elezioni, ma per buona parte della storia e anche in molte parti del mondo attuale, quando si vuole cambiare sovrano lo si ammazza. La morte di un regnante non è mai soltanto un dramma personale, è un evento che si ripercuote sulla sicurezza della nazione intera[7].
Nonostante la sua fama mondiale, sono molti i misteri che avvolgono la vita di William Shakespeare, e il resto è ammantato di leggenda. Ma onestamente non importa. Alcune delle sue opere come Romeo e Giulietta e La bisbetica domata sono talmente presenti nel nostro immaginario collettivo, anche grazie al cinema e alle migliaia di trasposizioni e riscritture letterarie, da renderci concittadini di Shakespeare in ogni tempo e in ogni luogo. In altre parole, possiamo affermare di conoscere Shakespeare senza conoscere Shakespeare.
E a distanza di secoli, William Shakespeare con la sua opera ci fornisce gli strumenti morali necessari per affrontare i problemi del mondo di oggi.
Basti pensare alla figura del matto, che manca totalmente nel Riccardo III e sparisce invece nel Re Lear quando la tragedia divampa, quando le morti si moltiplicano: con la sua assenza ci indica quando non è più l’ora dell’ironia, dello sberleffo. Il matto cede il passo al conflitto perché del re si può sempre ridere, ma il tiranno di cui si ride non fa più paura, ed è allora che diventa più pericoloso. E ogni riferimento all’attualità non è puramente casuale.
Tutti i testi indicati, ad eccezione di quelli indicati con l’asterisco, sono in vendita presso il LAC shop.
Auden Wystan Hugh, Lezioni su Shakespeare, Adelphi, Milano 2024
Ackroyd Peter, Shakespeare. Una biografia, BEAT, Milano 2016
*D’Amico Masolino, Dieci secoli di teatro inglese, Mondadori, Milano 1992
*Donà Massimo, Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare, Bompiani, Milano 2016
*Girard René, Shakespeare. Il teatro dell'invidia, Adelphi, Milano 1996
Greenblatt Stephen, Il tiranno. Shakespeare e l'arte di rovesciare i dittatori, Rizzoli, Milano 2023
Hazlitt William, I personaggi del teatro di Shakespeare, Sellerio, Palermo 2016
Lombardo Agostino, introduzione a Re Lear, Feltrinelli, Milano 2014
MacGregor Neil, Il mondo inquieto di Shakespeare, Adelphi, Milano 2017
Sanesi Roberto, Teatro nel Palazzo dei Congressi, Lugano 1983
Shakespeare William, Riccardo III, traduzione di V. Gabrieli, Garzanti, Milano 2015
Shakespeare William, Re Lear, Feltrinelli, Milano 2014
*Traversi Derek A., Introduzione a Shakespeare, Bompiani, Milano 1964
AA.VV., Il libro di Shakespeare, Gribaudo, Milano 2018
[1] William Shakespeare, Riccardo III, atto V, scena III. Traduzione di V. Gabrieli, Garzanti, Milano 2015.
[2] René Girard, Shakespeare: Il teatro dell’invidia, Adelphi, Milano 1996.
[3] W.H. Auden, Lezioni su Shakespeare, Adelphi, Milano 2024.
[4] Roberto Sanesi, Teatro nel Palazzo dei Congressi, Lugano 1983.
[5] Stephen Greenblatt, Il tiranno. Shakespeare e l'arte di rovesciare i dittatori, Rizzoli, Milano 2023.
[6] Stephen Greenblatt, ibid.
[7] Neil MacGregor, Il mondo inquieto di Shakespeare, Adelphi, Milano 2017.