La giovane Catherine Bertoni de Laet firma la sua prima prova registica portando in scena un testo scritto a quattro mani insieme al coetaneo Francesco Maruccia: una tragedia familiare che riflette su questioni di identità e appartenenza, un dialogo con la memoria attraverso il tempo.

Nel delirio di un sogno che si confonde con la realtà, una madre straniera precipita nella ricostruzione di luoghi violenti e violati della sua memoria. Convinta di proteggere la cosa più sacra di cui è a guardia, dà fuoco alla sua stessa casa, mettendo così a repentaglio la vita dei suoi quattro figli. Convocati da una lettera riguardo il passaggio di un’eredità, ritroviamo i fratelli ventun anni dopo, cresciuti separatamente e ognuno di loro in rapporto diverso con il proprio passato. Inizia così un’indagine non solo verso ciò che quei corpi hanno cancellato, ma anche nel rapporto che ognuno di loro è disposto ad instaurare con quel rimosso.

Al centro di Bogdaproste - il cui significato in lingua rumena è “che dio perdoni le tue morti” - vi è il rapporto con il Tempo e, quindi, con la memoria. Partendo dal mito di Medea, Catherine Bertoni de Laet e Francesco Maruccia hanno lavorato su una figura femminile che, pur seguendo le stesse dinamiche di tradimento del mito, ne riformula le modalità e le conclusioni: nella loro rielaborazione non soltanto Medea non intende uccidere i suoi figli, ma questi ultimi sono gli unici superstiti dell’incendio. Tutto nei fratelli si muove intorno alla ricostruzione e alla responsabilità del ricordare, al dialogo che il passato esige.

progetto e regia
Catherine Bertoni de Laet

drammaturgia
Francesco Maruccia
Catherine Bertoni de Laet

con (in ordine alfabetico)
Monìca Mihaela Buzoianu
Flavio Capuzzo Dolcetta
Leonardo Castellani
Francesco Maruccia
Alberto Pirazzini
Giacomo Toccaceli

scene
Paolo Di Benedetto

costumi
Margherita Platé

luci
Giovanni Voegeli

sound design
Brian Burgan

consulente alla drammaturgia
Tindaro Granata

produzione
LAC Lugano Arte e Cultura

in coproduzione con
Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

di Catherine Bertoni de Laet

Sono voluta partire dal principio e ho trovato la forza creatrice, che sempre si accompagna al suo opposto e al suo contrario. Con la fallimentare ambizione di raccogliere ogni frammento perso o trovato lungo il percorso, mi sono seduta in questo luogo di domande e ho iniziato un dialogo con il tempo, con i padri e le madri, con le narrazioni, le storie, le eredità e i vuoti che abitiamo nei nostri corpi, nei nostri istinti. La consapevolezza di una serie di responsabilità e di mancanze, con il terrore di perdere un indizio e non dimostrarsi all’altezza di quel che il momento richiede. E quindi la condizione dello straniero - nella propria terra come pretesto per arrivare alla propria pelle.

È con queste carte che è iniziato il gioco drammaturgico che mai sarei riuscita a delineare con tanta precisione senza Francesco Maruccia. È un percorso di distruzione e ricostruzione che si specchia nell’elemento del fuoco grazie alla sua capacità di purificare per rinascere, ma che inevitabilmente e ciclicamente ricade nel suo stesso massacro. La lente si ferma sul tentativo di mettere un segno per progredire, per emanciparsi - ma anche, inevitabilmente e umanamente, proteggersi - dal meccanismo di violenza che permea la storia dell’uomo.

Come nel mito, luogo letterario di partenza per questa ricerca, ogni cosa che si muove non è mai solo se stessa, e scavando nelle parole si possono trovare corpi inaspettati. Il rapporto tra le due figure delineate come Giasone e Medea può in maniera evidente racchiudere il significato di un dialogo tra popoli, così come le parole di lei possono e vogliono custodire il dolore di una Terra devastata dall’Uomo. Le loro voci si muovono in un ambiente sonoro che altera, allarga, distorce il tempo in maniera quasi onirica, mettendo distanza, ma soprattutto minaccia in questi corpi mitici, sovrannaturali. Ed è dinnanzi a loro che arrivano invece fragili e spogli i corpi di un’umanità quasi impreparata al confronto con il Tempo, ma che inavvertitamente sprofonderà, attraverso gli intuiti e i ricordi nascosti nella carne, nella complessità di cui sono figli.

di Francesco Maruccia

“La guerra è la madre di tutte le cose e di tutte regina”: queste parole di Eraclito sono e sono state per me illuminanti. La protagonista assoluta del testo è la Madre, non solo in quanto personaggio che agisce sulla scena ma anche come forza creatrice del mondo e del racconto – entrambi hanno origine in lei ed entrambi a lei sono destinati a tornare –; insieme, però, è anche forza distruttrice che doppiamente si manifesta in quanto personaggio – nel suo tentativo di distruggere la casa e uccidere i figli – e, più in grande, in quanto forza universale – la violenza e la guerra che aprono e chiudono lo spettacolo.

È questa forza femminile primigenia che Giasone cerca di possedere ed è con l’ombra di lei che i fratelli – i figli sopravvissuti al tentativo omicida della Madre: gli uomini del mondo contemporaneo – si trovano a dover fare i conti quando finalmente il passato decide di manifestarsi.

Questo ci porta ad un altro grande protagonista della vicenda: il tempo, anch'esso inteso nella sua accezione doppia di tempo che trascorre inesorabile e lascia dietro di sé tagli che ad un certo punto chiedono di essere medicati e del tempo eterno della storia dell’uomo che si ripete ciclicamente sempre uguale a se stessa. È nel continuo alternarsi di questi due volti del tempo che sia lo spettatore sia i personaggi si trovano ad agire ed essere agiti.

Così, mentre dalle parole di Giasone traspare l’ineluttabilità di questo continuo ripetersi degli eventi, i fratelli intraprendono un viaggio che è insieme indietro nel tempo – nel tentativo di ritrovare l’origine di quelle ferite lasciate in eredità dalla Madre – e in avanti – nel tentativo di immaginare una nuova vita, una nuova umanità – fino al punto di rottura in cui, involontariamente ma inesorabilmente, tutto precipita nel ciclico manifestarsi del gorgo della guerra e della violenza.

Su questo ritorno si chiude lo spettacolo: la situazione finale e quella iniziale si specchiano l’una dentro l’altra e i fratelli si preparano ad affrontare la distruzione così come il padre Giasone si prepara a scatenarla.

Foto di scena