Accompagna il festival, arricchendolo, Dancing Free, documentario di Elettra Fiumi che racconta il making of di questa prima edizione, lavoro che, una volta concluse le riprese, parteciperà a grandi rassegne cinematografiche internazionali.

Fin dal titolo, il progetto Dancing Free evoca il rapporto tra cinema e danza, la rappresentazione cinematografica di un’utopia inseguendo la perfezione del movimento e della libertà. Lo stesso tema è al centro della prima edizione di Lugano Dance Project su cui hanno lavorato incessantemente le artiste e gli artisti coinvolti. Per la realizzazione del documentario, Elettra Fiumi si è imbarcata in un viaggio esplorativo che nell’arco di quasi un anno l’ha portata a viaggiare in giro per il mondo, osservando, documentando e intervistando, durante la fase preparatoria, tre coreografe di punta che si esibiranno durante il festival: Virginie Brunelle, Annie Hanauer e Lea Moro.

Elettra Fiumi è una pluripremiata regista, produttrice e montatrice di documentari con sede a Lugano. I suoi film esplorano spesso i temi dell’innovazione, del senso del luogo e di ciò che ci guida. Ha lavorato a film per Netflix, Amazon Prime, The New Yorker, BBC, Teen Vogue, Siemens, WhatsApp e altri. Originaria di Firenze, ha vissuto molti anni a New York. Ha frequentato la Columbia University School of Journalism e il Mount Holyoke College.

 

 

Fiumi Studios è una società di produzione e strategia di contenuti online a servizio completo con sede a Lugano e New York City. Combina l'approccio giornalistico della curiosità, dell’accesso esclusivo, della ricerca approfondita, spesso integrando vasti archivi e interviste con lo storytelling cinematografico per raccontare ritratti intimi in luoghi che lasciano a bocca aperta. Affronta le proprie storie con una profonda conoscenza ed esperienza internazionale, comprendendo lo Zeitgeist e preservando il carattere locale. Racconta storie avvincenti di persone, marchi e luoghi in tutte le nazioni e in tutti i settori, tra cui arte, architettura, musica, cibo, tecnologia, viaggi d'avventura e moda.


Q&A con Elettra Fiumi
di Marco Cacioppo, regista, giornalista e critico cinematografico

Intervista alla regista e produttrice Elettra Fiumi che ha diretto il film-documentario Dancing Free in collaborazione con il LAC e la Franklin University.

1) Come è nato il progetto “Dancing Free”?

Insegno produzione di contenuti non-fiction e giornalismo alla Franklin University di Lugano. È stata l'università a propormi di aiutarli a raccontare la storia del festival di danza contemporanea che stavano mettendo in piedi in collaborazione con il LAC.

2) A cosa si riferisce il titolo?

Si ispira all’idea stessa del Festival di riprendere e omaggiare il passato di Monte Verità. In questo luogo idealisti, artisti e intellettuali si erano radunati intorno alla figura del coreografo ungherese Rudolf von Laban, il quale puntava a liberare la danza dai vincoli della dottrina tradizionale. La danza contemporanea, in sostanza, rompe le barriere della danza classica. Per noi significa anche lo spirito di libertà che uno trova nella ricerca di un’utopia. Può anche essere che o non esista o non la si possa raggiungere questa utopia, ma intanto, l’atto stesso di ballare, e quindi di vivere, ci fa essere liberi.

3) C’è qualcosa che accomuna “Dancing Free” ad altri progetti che hai fatto?

Nei miei film ho esplorato tante tematiche, ma in effetti c’è un aspetto che li accomuna: l’intimità. In ogni storia che racconto, cerco sempre di entrare il più possibile dentro all’anima dei miei personaggi. Inoltre, lavoro spesso con gli archivi. “Radical Landscapes”, per esempio, si basa sugli archivi del “Gruppo 9999”, il gruppo di architetti radicali a cui apparteneva mio padre. Anche per Siemens ho attinto al loro vastissimo archivio.

4) Qual è il tuo background?

Ho iniziato come giornalista, lavorando per le riviste di viaggio e cultura di American Express. Frequentando un Master alla scuola di giornalismo della Columbia, ho scoperto la mia passione per il documentario e sono diventata filmmaker. Dal 2011 ho sempre lavorato in proprio come producer, regista e montatrice, creando principalmente contenuti video per il web per gruppi editoriali come BBC e The New Yorker o realtà aziendali come Siemens e Whatsapp. Sono nata e cresciuta a Firenze, ma per l’università ho studiato in Massachusetts. Poi ho vissuto 14 anni a New York prima di trasferirmi a Lugano quasi quattro anni fa.

5) Avevi mai avuto a che fare con la danza prima di “Dancing Free”?

Mi è sempre piaciuta e quando vivevo a New York andavo spesso a vedere spettacoli di danza. Con la mia ex socia ho perfino creato una serie sulle donne per conto di MSNBC. Si intitolava “Breaking Glass”, ed era composta da alcuni film che esploravano la danza sotto varie forme, dal Burlesque alla danza contemporanea, dal festival di Creative Time “Drifting in Daylight” a Central Park, fino a un musical per un profilo su Anna Louizos, una delle poche set designers di Broadway.

6) Di cosa parla esattamente “Dancing Free”?

Sostanzialmente di come la danza contemporanea abbia il potere di cambiare la percezione della realtà delle persone. Attraverso un intrecciarsi di sogni, motivazioni, corpi, movimenti e musica, il film sarà un viaggio all’interno del processo creativo di tre giovani coreografe di fama internazionale, Virginie Brunelle, Lea Moro e Annie Hanauer, in vista delle loro esibizioni al LAC di Lugano durante l’ultima settimana di maggio 2022.

7) Hai avuto carta bianca su come svilupparlo?

Inizialmente abbiamo proposto un trattamento. Una volta approvato, ho avuto totale libertà creativa. Poi sappiamo tutti che quando si filma la vita reale, si verificano sempre degli imprevisti che possono cambiare alcuni dettagli della storia. Tutto sommato, però, devo dire che in questo caso il film corrisponde in buona parte all’idea di partenza.

8) Qual è stato il tuo approccio a livello documentaristico?

Abbiamo fatto tanta ricerca includendo interviste preliminari con i protagonisti e uno studio approfondito su Monte Verità, fonte di ispirazione per il festival. Il documentario è di osservazione, quindi le interviste filmate verranno usate come base per il racconto. Riguardo alla struttura, il film è ancora in lavorazione, il che significa che in fase di scrittura e montaggio potrebbe subire qualche cambiamento. La nostra idea è comunque quella di mantenere una struttura circolare che inizia con l’esibizione degli spettacoli al festival e poi torna indietro come un grande flashback. In questo modo racconteremo in parallelo il processo creativo delle tre artiste. A fare da collante, c’è poi la passione e la storia del direttore del LAC, Michel Gagnon, il visionario da cui è nata l’idea del festival.

9) Avevi dei riferimenti visivi?

Tutto nasce dal lavoro di ricerca con i nostri protagonisti quindi le tre coreografe sono state la principale fonte di riferimento. Abbiamo chiesto di vedere i loro taccuini, e di conoscere le loro ispirazioni per i loro numeri. Dato il tema della danza, sono stati molto utili anche due documentari come Pina di Wim Wenders e Fuoriscena, sul Teatro La Scala di Milano.

10) È stato difficile trovare un equilibrio tra il lavoro di ricerca delle vostre protagoniste e il tuo lavoro di regista?

Le coreografe avevano bisogno della massima concentrazione, quindi la ricerca di un equilibrio tra la loro necessità di creare senza sentirsi osservate e la nostra esigenza di catturare il loro processo di creazione, è stata fondamentale. Lavorando nell’ambito del cinema documentaristico, mi sono abituata all’idea che la perfezione esiste solo quando ci si sa adattare a quello che la realtà ti mette a disposizione. Questo è anche il motivo per cui preferisco questo linguaggio alla fiction. La vita reale è di gran lunga più forte e complessa. Senza contare la maggior difficoltà nel catturare i momenti più significativi che caratterizzano un individuo. Puoi rimanere a osservare qualcuno per giorni con la camera accesa e perdere l’attimo che aspettavi. Ma magari proprio in quel materiale scopri che c’è qualcosa di ancora più rappresentativo che non avevi considerato.

11) Come hai lavorato sulla rappresentazione della danza?

Attraverso il parallelismo esistente tra la fluidità dell’atto della danza e quella dell’acqua e del suono. Abbiamo filmato i corpi d’acqua che si trovano nelle varie città al centro del film, in primis Lugano. Il LAC si trova proprio sul lago. Filmandola poi nelle sue varie forme, l’acqua diventa anche un leit motiv utile per creare i raccordi tra luoghi e personaggi. Per quanto riguarda invece la psicologia delle protagoniste, puntiamo a far immergere l’audience nel loro processo creativo, grazie a un particolare lavoro di sound design volto a esaltare l’esperienza interiore. Se ne sta occupando un team di professionisti di Milano.

12) Puoi farci un esempio?

Lea Moro ha sviluppato il suo numero “Another Breath” basandosi su uno studio del respiro. Durante una scena che abbiamo girato con lei nel bosco, abbiamo creato un sound design che potesse trasmettere le origini di questa sua idea. Mentre cammina e si racconta, sentiamo i suoni del suo respiro che aumenta d’intensità, accompagnandola fino al limite del bosco, dove la sua idea, simbolicamente, si concretizza.

13) Hai coinvolto anche i tuoi studenti nella realizzazione di questo film?

Sì. I ragazzi del corso primaverile di “Producing Non-Fiction Short Films” hanno imparato a montare con delle riprese che avevamo girato di Annie. Come prova d’esame si sono divisi in gruppi e hanno fatto tre video. Uno sulla storia di Monte Verità, usando l’incredibile archivio che ci è stato messo a disposizione. Un altro sui profili delle tre coreografe e su cosa significa per loro avere dei modelli come queste tre donne. Il terzo è una serie di interviste a professori e studenti delle tre classi che stavano lavorando sul progetto.

14) Verranno integrati nel documentario o vivranno di vita autonoma?

Al momento avranno una loro vita autonoma, ma capiremo meglio una volta arrivati al montaggio!

15) Qual è stata la sfida più grande?

Sicuramente coordinare più di un mese di riprese in varie città e paesi per filmare le coreografe, tra calendari molto complicati e i protocolli Covid!

16) Cosa hai scoperto che non sapevi grazie a “Dancing Free”?

Come nuova arrivata nel territorio Ticinese, sono felice di aver scoperto e approfondito la ricca storia di Monte Verità.

17) E a proposito di utopie? Hai trovato la tua idea di perfezione?

Le coreografe spesso ci dicevano che a loro la perfezione non interessa. L’imperfezione è molto più interessante. Più sporca, più ricca. C’è tanta verità in questo, anche se alla fine, loro, alla perfezione ci arrivano in maniera naturale dopo giorni e giorni di prove. La perfezione per me sta invece nel processo stesso di ricerca. Mi interessa di più la ricerca dell’arrivo. Questo per me è l’utopia, quel momento di profonda immersione nel processo creativo.