Dopo quasi vent’anni di lavoro artistico in coppia con Daria Deflorian, Antonio Tagliarini torna a lavorare da solo presentando al pubblico l’ultima tappa di un progetto di ricerca durato due anni: l’artista invita la poetessa Gaia Ginevra Giorgi a dialogare con lui sulla scena attraverso un’azione sonoro-performativa.
In questo lavoro, il cui titolo riprende l’ultimo romanzo della giovane scrittrice giapponese Maru Ayase, Tagliarini esplora un flusso somatico in cui il corpo si riorganizza e indaga altri modi di esistenza, fino alla soglia della trasformazione.
La danza, in intima relazione con il suono live, è esposta a possibili interruzioni, interferenze, tradimenti e imprevisti: un inno al corpsing.
La scena infesta ed è infestata, è sciame di affetti e reticolo complesso di relazioni, la materia vibra, si regge su un equilibrio precario in cui lo spazio, il tempo e il filo del discorso vanno sempre rinegoziati. Come in una foresta, come in un gioco, il corpo del performer si muove per tentativi, si riposiziona, procede per frammenti, riorganizza le forme e i pensieri nel gesto semplice ma sovversivo di attraversare ed essere attraversato.
A sostenere il tessuto drammaturgico del lavoro ci sono le riflessioni del teorico queer Jack Halberstam intorno al concetto di fallimento, che ci guidano nell’affollato mondo dei perdenti e propongono una nuova visione secondo cui smarrire la strada, dimenticare ed essere dimenticati, essere indisciplinati e improduttivi si rivelano strategie possibili per stare al mondo.
Antonio Tagliarini si interroga, accetta le deviazioni, apre il discorso attraverso una serie di domande costruite a partire da queste riflessioni, domande che non solo informano la danza e gli interventi sonori, ma circolando tra pubblico e performer, producono un ecosistema materiale e complesso di feedback e innumerevoli interazioni.