Un padre, sua figlia e il legame di amore assoluto che li unisce. Lei è Margherita Cagol, ragazza cattolica nata in una città di montagna, che, divenuta adulta, abbraccia la lotta armata, fondando le Brigate Rosse, tra i più longevi gruppi terroristici europei del dopoguerra. Lui è suo padre, che la ama di un amore assoluto e disperato.

A quasi dieci anni dal suo primo allestimento, Carmelo Rifici decide di riallestire il bel testo di Angela Demattè e lo fa dirigendo Andrea Castelli qui nel pieno della sua maturità d’interprete, e Francesca Porrini che si cala nei panni della giovane terrorista, ruolo che fu interpretato dalla sua autrice. 

“…Avevo un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia e la delizia mia. S’è rotto il filo e m’è scappato via, in alto, in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni, volan tutti lassù quei bei palloni”. 

Così scriveva Margherita Cagol nei suoi quaderni di bambina, a Trento, prima di diventare Mara, la brigatista rossa, moglie di Renato Curcio, uccisa in uno scontro a fuoco con la polizia.
Dopo essere stato applaudito in Francia, Lussemburgo e Belgio per quattro stagioni consecutive nella sua versione francese, Avevo un bel pallone rosso torna in scena nel 2018, alla 27° edizione del FIT Festival Internazionale del Teatro e della scena contemporanea. 

“La storia delle Brigate Rosse – ha dichiarato Carmelo Rifici – è un pretesto usato dall’autrice per addentrarsi in un terreno più fecondo e misterioso: quello delle relazioni umane profonde, e dell’impossibilità di quella relazione”.

 

di
Angela Demattè 

regia
Carmelo Rifici

con
Andrea Castelli e Francesca Porrini

scene e costumi
Paolo Di Benedetto

musiche
Zeno Gabaglio

luci
Pamela Cantatore

video
Roberto Mucchiut 

assistente scenografo
Andrea Colombo

regista assistente
Alan Alpenfelt

produzione
LAC Lugano Arte e Cultura, TPE Teatro Piemonte Europa, CTB Centro Teatrale Bresciano

Lo spettacolo è costruito su uno spazio scenico semplice ma necessario per lo sviluppo del rapporto tra Margherita e suo padre, tutto lo spettacolo in realtà tende esclusivamente a muoversi tra le maglie di questo rapporto. Il testo di Angela Demattè sembra voler esemplificare la vicenda umana di Mara Cagol, dai suoi studi universitari di sociologia a Trento alla sua tragica morte, avvenuta il 5 giugno 1975 nel corso di uno scontro a fuoco coi carabinieri, presso la cascina Spiotta d'Arzello dov’era stato nascosto l’industriale Vittorio Vallarino Gancia, sequestrato il giorno precedente dal nucleo brigatista. In realtà la storia delle BR è un pretesto usato dall’autrice per addentrarsi in un terreno più fecondo e misterioso: quello delle relazioni umane profonde e dell’impossibilità della relazione. Senza dimenticare i luoghi della difficile relazione, Trento e Milano. A Trento Mara è Margherita, figlia e studentessa, a Milano Margherita è Mara, combattente membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. A Trento Margherita parla in dialetto e si pone di fronte al padre con il dubbioso sentimento di amore e di ribellione, a Milano Mara parla un italiano burocraticamente ideologico e si pone di fronte al padre senza dubbi e con l’assoluto amore verso la causa brigatista. A Trento il padre parla in dialetto e il suo dialogo impossibile con Margherita è basato sull’amore assoluto verso i figli, la famiglia, la religione cattolica e il lavoro, un amore assoluto che rifiuta il relativismo emozionale, rifiuta il personale. A Milano il padre non sa più in che lingua parlare e cerca in Mara un sentimento filiale ormai impossibile da recuperare. Lo spettacolo tratta dell’impossibilità del linguaggio, che si palesa nel cancro alla bocca che ucciderà il padre, bocca dalla quale non uscirà mai la parola Amore, e nella perdita della lingua natale di Margherita, senza la quale è impossibile veicolare gli affetti più cari.

23-30.10.2018
Teatro Astra, Torino

30.10-04.11.2018
Piccolo Teatro – Studio Melato, Milano

Perché portare in scena Avevo un bel pallone rosso oggi? Ho scritto questo testo qualche anno fa, quando incontrai la storia di Margherita Cagol, una ragazza cattolica nata in una città di montagna e diventata, in pochi anni, la leader delle Brigate Rosse, organizzazione clandestina degli Anni di Piombo. Scelsi di raccontare la sua storia attraverso il rapporto con suo padre. O meglio: fu la voglia di raccontare il rapporto tra una figlia e un padre che trovò il modo di incarnarsi in questa storia. Dunque questo spettacolo parla innanzitutto di questo: di un padre e di una figlia che si amano. C’è una cosa che ci fa tremare, oggi, alla vigilia della nuova ripresa dello spettacolo. Perché Margherita Cagol era una terrorista. Parliamo di un terrorismo molto diverso da quello che si mostra negli sconcertanti fatti di questi giorni. Allora era odio verso la società borghese, verso l’ingiustizia, desiderio di uguaglianza sociale, voglia di un mondo migliore per tutti. Margherita non ha ucciso alcun essere umano. Senz’altro non avrebbe ucciso esseri umani sconosciuti e innocenti. In ogni modo, è morta presto, uccisa in un blitz della polizia. Oggi, invece, la violenza, la ferocia e la disperazione degli atti terroristici che vediamo, superano qualsiasi possibile definizione e categoria ideologica e religiosa. Ma non posso negare che vi sia qualcosa che li accomuna ai fatti degli Anni di Piombo italiani, come comune è la parola che cerca di definirli: terrorismo. La tentazione è la stessa: annientare coloro che impediscono la realizzazione di un certo paradiso che si ha in mente. Ma altrettanto comune è la giovane età dei protagonisti di quei fatti come comune è la loro ricerca di un senso grande per la propria vita, il loro bisogno di qualcosa di assoluto per cui dare la vita. In questo senso c’è qualcosa che lega Margherita ai fatti di oggi. Eppure Margherita non ha ucciso nessuno. Mi piace pensare che sia l’amore di suo padre che glielo ha impedito. Quell’amore silenzioso, spesso incapace di comunicarsi, reso fragile dalla storia e dalla società, però profondamente vero e umano, misterioso, intrecciato alla struttura stessa dell’Occidente. Quell’amore antico è ciò che dava a Margherita la misura del valore di se stessa e del valore di ogni essere umano. Perciò mi sembra tanto importante portare in scena Avevo un bel pallone rosso oggi. Perché bisogna parlare di quest’amore, dire che c’è, che è fragile ma che è esistito e che può esistere. Riconoscerlo vicino e possibile. Riconoscerci vicini in questo.

Foto di scena